Pagine

sabato 31 ottobre 2020

Il filo conduttore, Clyfford Still

 Autore:   Clyfford Still

(Grandin, 1904 – New Windsor, 1980)

 Titolo dell’opera: Quadro 1944-N nr.2, 1944

 Tecnica: Olio su tela

 Dimensioni: 264,5 x 221,5 cm

 Ubicazione attuale:  Museun of Modern Art (MoMA) New York



Particolarmente complesso questo dipinto è tra i primi esempi di espressionismo astratto, un ideale collegamento tra le idee surrealiste legate alla “pittura automatica” e la corrente artistica americana che segna un passo fondamentale per l’arte contemporanea.

Tipico dello stile di Still questo quadro presenta una quasi totale superficie dal colore nero applicato con la spatola e ripreso con la lama di un coltello, lo sfondo monocromatico è attraversato da “lampi” orizzontali e verticali rossi, gialli, bianchi e in fondo a destra una fusione cromatica tra i verde e il blu.

Il pittore statunitense libera l’opera da ogni riferimento “reale” riconoscibile, questo gesto serve per allontanarsi sempre più dalla contaminazione dell’arte europea cercando cosi una nuova strada, una nuova espressione artistica puramente americana.

Il dipinto dunque come rappresentazione di se stesso (questo però ci dimostra quanto sia impossibile staccarsi completamente dalle influenze esterne in quanto la definizione “il quadro non rappresenta il soggetto espresso ma è la rappresentazione di sé stesso” è dell’artista europeo Kandinskij) o più precisamente è l’emblema del gesto pittorico che va oltre ciò che vediamo.

La complessità nella lettura delle opere di Still è amplificata dalla difficoltà di comprendere le stesso pittore, Still ha sempre cercato nuove vie scegliendo il disprezzo verso il mondo artistico newyorkese evitando di esserne contaminato.

Come già sottolineato in precedenza non possiamo chiudere le porte alle “esperienze” altrui che provengono da altre parti del mondo e da periodi storici passati, per questo motivo, pur mostrandoci una concezione innovativa, Still si erge a filo conduttore tra l’esperienza visionaria dell’arte europea del primo novecento e l’idea altrettanto utopistica della nascente generazione artistica americana.


sabato 24 ottobre 2020

I codici d'accesso dell'arte, Andy Warhol

Faccio sempre molta fatica a “seguire” le opere di Andy Warhol, altrettanto complessa è la comprensione dell’insieme artistico, del concetto di base che ha scatenato un’autentica rivoluzione culturale.

Da sempre i lavori dell’artista di Pittsburgh non riescono a “prendermi”, ne esteticamente ne nel profondo dell’idea, questo mi spinge da molto tempo a capire il perché, ho letto molte biografie, ho ascoltato svariate dichiarazioni e interviste, dello stesso Warhol e di chi lo ha conosciuto ma il senso non mi è mai stato chiaro.

Finché un giorno, leggendo una biografia firmata da Francesca Romana Orlando, mi sono imbattuto in una frase, attribuita a Marcel Duchamp, che ai miei occhi ha svelato  quello che è la base dell’arte di Warhol: “Quello che mi interessa di Warhol non sono i barattoli Campbell in sé ma il tipo di mente che deciderebbe di dipingere i barattoli Campbell senza fine”.

Ancora una volta mi rendo conto che l’arte è tutto tranne che l’immediatezza visiva, spesso non è sufficiente nemmeno conoscere le principali “nozioni” di un’opera, non bastano il piacere o il fastidio che proviamo quando la osserviamo, e non basta conoscere la vita dell’artista e tutto ciò che ha influito alla sua crescita, umana e artistica, serve quella scintilla che apre ad una comprensione più profonda, l’indicazione della strada da seguire.

Naturalmente, essendo Warhol parte integrante di quel movimento, il “New Dada”, che verte inequivocabilmente al concetto sopra tutto e tutti, avevo intuito che la via da seguire era questa ma non sapevo dove iniziare e come procedere.

Chi mi conosce sa quanto io sia legato all’idea artistica di Duchamp e di conseguenza il rischio di subirne l’influenza è alto ma se questo aiuta a comprendere perché non provare?

Non so a cosa porterà questo ennesimo percorso ma il solo fatto di iniziare il viaggio è elettrizzante.

Probabilmente continuerò a non apprezzare a fondo le opere di Warhol ma spero quantomeno di scoprire quei lati più in ombra che servono a decodificare un codice sempre più complesso.


Nell’immagine: Andy Warhol – Dick Tracy, 1860 - Caseina e pastello su tela, 121,9 x 83,9 cm.

The Brant Foundiaton, Greenwich


sabato 17 ottobre 2020

La realtà e i media, Johan Grimonprez

 Partendo da uno spunto all’interno di un più elaborato testo di Angela Vettese, cerco di comprendere l’analisi artistica contemporanea dal punto di vista, innegabilmente contaminante, dei media.

Nel 1997,in anteprima al Center Pompidou di Parigi, viene pubblicato il video-art-document dell’artista belga Johan Grimonprez “Dial H.I.S.T.O.R.Y.”, il film è realizzato interamente con il sistema “found foottage”.

Il video racconta la storia dei dirottamenti aerei con un montaggio che incorpora i filmati d’epoca, le conferenze stampa, i servizi giornalistici, a questo si aggiungono parti di testi letterari e spezzoni di film di fantascienza.

Di quest’opera, dalla durata di 68 minuti, mi ha colpito la sequenza dei disastri aerei mostrati con un sottofondo musicale che esula dal contesto, una base sonora rilassante che nulla ha a che fare con le scene cruenti del video, semmai più consona alle sale d’attesa o ai centri benessere, tutto questo ci mostra come i media possono manipolare la realtà veicolandola verso lo spettatore nella forma che più fa comodo, la forma dunque che cancella la sostanza.

La realtà filtrata dal sistema mediatico non è più quella che accade ma la sua interpretazione che spesso muta fino a sovvertirne totalmente i canoni di partenza.

L’arte come forma di denuncia, d’altro canto dopo secoli di commissioni nobiliari o strettamente ecclesiastiche, dove l’artista non poteva fare altro che compiacere chi paga, il novecento offre all’artista l’opportunità di sganciarsi (là dove lo desidera) da chi “finanzia” i lavori portando avanti le proprie convinzioni, i propri ideali.

Anche questo (o forse soprattutto) è la vera innovazione dell’arte contemporanea.

E’ indubbio che anche un’opera di protesta è filtrata dal pensiero dell’artista ma è altrettanto evidente che il punto di vista di partenza è ben delineato.

sabato 10 ottobre 2020

La percezione al di sopra della certezza.

 I detrattori dell’arte contemporanea sostengono che non siamo più in grado di distinguere l’opera d’arte da un banale oggetto di pubblico utilizzo (l’esempio ricorrente è il paio di occhiali da sole spacciati per scherzo per opera d’arte o un comunissimo estintore, dotazione di sicurezza in un qualsiasi museo).

Voglio capovolgere il concetto, prima nessuno si sarebbe immaginato di scambiare per opera d’arte i suddetti occhiali o estintori, oggi questo può accadere, siamo sicuri che si tratti di un limite?

Non voglio dire che qualsiasi cosa vediamo sia arte ma il fatto che pensiamo possa esserlo significa che l’apertura mentale si è ampliata.

D’accordo si deve approfondire, “studiare”, comprendere, ma questo avviene solo dopo che abbiamo messo in discussione ciò che vediamo.

Senza una visione più ampia saremmo ancora legati alla scultura e alla pittura “realista”, abbiamo molta strada da percorrere ma il senso di marcia è quello giusto, non dobbiamo dare nulla per scontato, qualunque cosa incontriamo sul nostro cammino ha significati profondi, non è detto che li comprenderemo tutti ma è necessario pensare evitare qualsiasi etichetta, tutto è possibile, dobbiamo solo scoprirne i codici e lentamente la luce sostituirà, più o meno parzialmente, le inevitabili ombre.


nell'immagine: Alex Chinneck - Fire in the jelly

domenica 4 ottobre 2020

Ode alla bellezza

 

«La bellezza è indefinibile in quanto tale, la riconosci solo quando la incontri, è invasiva e pervasiva, nel senso che entra dappertutto, entra negli occhi di una donna, nel pelo di un gatto, in una nuvola che sfila davanti al sole, nell’emozione dell’arte e persino in una mattina di nebbia. Ed è pervasiva nel senso che entra dentro di te in qualche modo …»


A. Paolucci


(nell’immagine: Antonio Canova – Amore e Psiche, 1793. Scultura in marmo, 1,55 x 1,65 cm. Museo del Louvre, Parigi) 


sabato 3 ottobre 2020

L'oscillazione del pensiero, Alexander Calder


Autore:   Alexander Calder
(Philadelphia, 1898 – New York, 1975)

Titolo dell’opera: Trappola per aragoste e coda di pesce, 1939

Tecnica: Fili d’acciaio e lastre di alluminio dipinte

Dimensioni: 289,5 cm

Ubicazione attuale:  Museum of Modern Art, New York





Sospensione spaziale, la composizione fluttua nell’aria come se galleggiasse nell’acqua.

L’oscillazione continua, spinta o rallentata dallo spostamento d’aria causato da correnti o solo dal passaggio degli spettatori, richiama il lento ma costante movimento marino, la trappola per aragoste, il pesce stilizzato e la lisca di pesce, composta da nove elementi che si muovono indipendenti l’uno dall’altro, accompagnano il visitatore nelle profondità marine.

Calder libera la fantasia e la materia permettendo ad entrambe di muoversi liberamente, lo spazio non ha confini e tutto sembra agire senza alcun vincolo.

L’opera, eccellente esempio di arte cinetica, racconta della libertà di espressione, di visione e concetto ma la trappola per aragoste ci avvisa che nulla è scontato, dobbiamo saper apprezzare la libertà stessa e che quest’ultima va difesa con determinazione e intelligenza.