Durante il mio “vagare” mi sono imbattuto nell’immagine di
un’icona russa datata 1420-30 ad opera di Andrej Rublëv.
Il titolo, “Trinità”, non lascia spazio ad interpretazioni, è la raffigurazione di Dio nel suo essere assoluto.
Questo mi ha immediatamente spinto in avanti di cinquecento anni quando nel 1915 Kazimir Malevič realizza il celeberrimo “Quadrato nero su fondo bianco”, la rappresentazione di Dio nel suo essere assoluto.
Due immagini,
all’apparenza, estremamente diverse tra loro ma concettualmente affini,
entrambe “raccontano” l’esperienza spirituale del proprio tempo, l’incontro con
il Divino, due visioni simili e al contempo lontane, la prima più diretta, la
seconda più sofferta.
Cento anni dopo l’opera di Malevič, nel secondo decennio dall’inizio del nuovo millennio dove all’improvviso ci troviamo ad aprire gli occhi, a liberarci dall’inutile eccesso "materiale" che ci impedisce di guardare lontano, quale delle due visioni ci è più congeniale?
Indipendentemente
dal credo religioso o dalla presenza o meno dello stesso, le due
rappresentazioni si schierano su un fronte sostanziale opponendosi al vuoto
spirituale degli ultimi decenni, forse, ma è solo il mio pensiero, è
proprio Malevič a fornirci un’indicazione (non cerchiamo una risposta certa,
non l’avremo mai) l’essenza spirituale è là dove lo sguardo distratto non vede,
solo con il desiderio di conoscenza possiamo stabilire un contatto.