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domenica 30 marzo 2025

Firenze, destino triste (per l'intera umanirtà)

“Firenze, capitale (o culla) della bellezza”, quante volte abbiamo sentito queste parole associate al capoluogo toscano.

Una mia recente visita mi ha “detto” altro, la percentuale di amici e conoscenti che l’hanno visitata e che la trovano bella, se non meravigliosa, si avvicina al 99%, siccome faccio mia la frase (difficilmente attribuibile) “se piace a più del 30 % della gente non è arte”, ecco svelato l’arcano.


Scherzi a parte, tra i numerosi luoghi d’arte e bellezza, che innegabilmente sono presenti, è la decadenza culturale della nostra società ad emergere prepotentemente.

L’immagine in alto ci mostra la rappresentazione delle quattro “Arti” (da sinistra, scultura, pittura, musica e architettura) che fanno da cornice ad una frase emblematica: “L’antico centro della città da secolare squallore a vita nuova restituito”, queste parole sembrano rappresentare l'esatto contrario di ciò che sta succedendo oggi, una sorta di via del ritorno, l’inversione di marcia sulla via di ciò che le arti volevano offrire.

Firenze, suo malgrado, è lo specchio della decadenza della società moderna, di una cultura basata sull’apparenza, sul consumo a “perdere”, sull’assenza di memoria, sulla fugacità dell’approfondimento, sulla morte del pensiero critico.

Da cosa percepisco tutto questo? Da molte piccole cose che spesso passano inosservate.

Dalle code (evitabili nel 2025) davanti a chiese e musei, al comportamento della gente all’interno di queste strutture. Ma anche la città stessa è l’emblema di una decadenza figlia dell’accidia amministrativa che si culla sugli allori di un lontano passato, il rinascimento, termine che emerge ovunque, è scomparso da tempo.

Le strutture urbane sono decadenti, marciapiedi e strade dissestati (se provate a far correre i vostri bagagli sulle consuete “rotelline” vi accorgete che tutto fila liscio al massimo per due o tre metri) ma a chi importa se l’afflusso è costante?

Firenze però non è un’eccezione, è la regola che riflette l’intero paese, la società, ogni individuo che la compone (con le dovute eccezioni) tutto cade, tutto regredisce.

Due esempi di ciò che ipotizzo, nella Galleria degli Uffizi, davanti alla Primavera del Botticelli, una ressa incredibile ne impedisce la visione, ognuno degli astanti ha un telefonino in mano, tutti scattano fotografie pochi osservano con attenzione l’opera, più della metà da le spalle al dipinto, il protagonista dello scatto non è certo il quadro. Il culmine è raggiunto quando una ragazzina, giunta al cospetto della celebre tela, si toglie la giacca e, seminuda si mette in posa mentre le due amiche scattano foto a ripetizione.

L’atro esempio di decadenza del pensiero lo troviamo davanti ad un’opera di Lorenzo Giannelli, a fianco della Basilica di San Lorenzo, svetta una scultura imponente, (l’immagine seguente ce la mostra) ai piedi dell’opera troviamo la descrizione, a fianco di quest’ultima un rudimentale cartello scritto a mano sollecita, con un maldestro tentativo di essere spiritoso, un intervento che metta: “un paio di mutande” atte a ripristinare la decenza, detto in un periodo storico dove la decenza è praticamente scomparsa aumenta l’effetto comico (si ride per non fare il contrario).

La mia non è una critica, positiva o negativa dell'opera, il concetto è un altro.


Chiudo affidandomi alla speranza di Antonio Paolucci che qualche anno fa diceva: “questo è semplicemente un momento di oscuramento, durerà un secolo o forse due, poi, in qualche parte del mondo nascerà un nuovo linguaggio, un nuovo rinascimento artistico, sociale e culturale”.

giovedì 20 marzo 2025

Visioni soggettive

“L’universo in realtà è buio! Le stelle non brillano, non c’è alcuna luce, il sole non è luminoso, la luna non riflette i suoi raggi, tutto è nero. Perché?

Perché la luce esiste se ci sono degli occhi e un cervello capace di trasformare le onde elettromagnetiche in segnali luminosi, come fa appunto il cervello umano.

Le onde elettromagnetiche, di per sé, non generano luce, tutto è spaventosamente buio”.

(Piero Angela)

Vincenzo Galati – Città strana n.1 – Acrilico su tela di lino, cm 80 x 180 – Collezione privata

Il cosmo dunque si presenta, come lo vediamo, nella forma e nei colori che solo noi riusciamo a percepire, tutto questo vale naturalmente per ciò che osserviamo quotidianamente sul nostro piccolo pianeta, parte infinitesimale dell’universo.

Ma cosi come il sistema solare è una piccola tessera del mosaico universale, noi, in quanto esseri umani, presi singolarmente, siamo allo stesso modo una piccolissima parte dell’insieme dell’umanità.

In quanto soggetti unici e non replicabili abbiamo occhi e cervello che vedono in modo unico?

Lasciamo da parte la differenza tra specie animali, anche tra esseri umani ci sono delle piccole o grandi variazioni, nessuno probabilmente vede allo stesso identico modo di un’altra persona.

A questo punto viene da chiedersi quanto la visione differente influisca sulla percezione delle opere d’arte.

Naturalmente sono molti i fattori che ci portano ad apprezzare un dipinto, una scultura o una fotografia, l’aspetto puramente estetico, le conoscenze, il bagaglio culturale, la società in cui viviamo, i gusti personali, ecc.

Se a tutto ciò aggiungiamo una “visione”, e la conseguente elaborazioni di quello che riceviamo, diverse da chiunque altro, è possibile che influisca sulla differente valutazione rispetto ai giudizi altrui?

Sicuramente anche questa ipotesi va ad aggiungersi ai fattori soggettivi già menzionati, questo dovrebbe farci riflettere quando tendiamo ad emettere sentenze definitive, guardiamo e vediamo un’opera come nessun altro ha mai fatto, è solo uno degli infiniti angoli di osservazione, non ci resta che impegnarci cercando di capire quale sia la prospettiva da un altro angolo.

domenica 9 marzo 2025

Alla fine è sempre l'idea a prevalere.

“Sono stato in stretto contatto con artisti e con giocatori di scacchi e sono arrivato alla conclusione personale che mentre non tutti gli artisti sono giocatori, tutti i giocatori di scacchi sono artisti”. (M. Duchamp)

“La bellezza degli scacchi è più vicina a quella della poesia; i pezzi sono l’alfabeto stampato che dà una forma ai pensieri, e questi pensieri, pur formando un disegno visivo sulla scacchiera, esprimono una loro bellezza astrattamente, come una poesia”. (M. Duchamp)

Marcel Duchamp – Ritratto di giocatori di scacchi, 1911 – cm 108 x 101 - Musée d'Art Moderne de la Ville de Paris

Marcel Duchamp ha sempre considerato il gioco degli scacchi, o perlomeno il senso dello stesso, una forma d’arte che fonde la profondità della poesia, della pittura e della scultura.

Gli scacchi come metafora dell’arte nella sua narrazione, i giocatori muovono i pezzi dando vita ad un “quadro”, sia dal punto di vista visivo sia da quello delle idee.

L'artista francese anticipa l’importanza del gesto del “dipingere”, che diverrà celebre qualche decennio più tardi, esaltando il “movimento” del pezzo sulla scacchiera, al punto da renderlo emozione, sensazione quasi fisica: ”piacere sensuale dell’esecuzione ideografica dell’immagine sulla scacchiera”.

A confermare tutto ciò c’è la dichiarazione dello stesso Duchamp che sottolinea come un pittore, se non è soddisfatto del suo dipinto, può cancellarlo e ricominciare da capo, cosi come un giocatore di scacchi può cancellare quello che si è fatto.

Il dipinto in alto rappresenta le due anime del pittore normanno, Ritratto di giocatori di scacchi è la sintesi del pensiero artistico del giovane Duchamp (allora vicino al cubismo prima di abbandonare il movimento e la pittura stessa per manifesta “ipocrisia”)

Qualche tempo fa ho parlato (qui) proprio della celebre immagine che vede Ducham davanti alla scacchiera pronto ad accettare la sfida di Eve Babiz in occasione dell’inaugurazione di una sua personale.

Se il “gioco” degli scacchi non è arte a prescindere, lo è nel momento in cui sulla scacchiera si “disegna” l’idea, d’altro canto se avviciniamo qualsiasi cosa al nome di Duchamp non può che essere cosi, l’idea rende uno scacchista un artista, non sempre un pittore lo è.