“E’ un mondo in
cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti
a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: Tutto declina”
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Adrian Paci - Home to go (particolare) |
Queste
parole, estrapolate da un’intervista rilasciata da Riccardo Muti un paio di
anni fa dicono molto più di quanto possa apparire ad un primo ascolto (o
lettura), a questo si aggiunge una nuova “disamina” del livello culturale
italiano che il noto direttore ha fatto in questi giorni.
Le
parole di Muti vengono riportate da tutti gli organi di informazione ma in
pochi hanno compreso l’obbiettivo dello sfogo: “La cultura nel nostro Paese sta
attraversando un periodo ancora più drammatico, rivolto verso il basso, la casa
di Lorenzo Da Ponte è in
vendita ed è una vergogna. Parliamo di uno scrittore e poeta che dovrebbe
essere studiato al liceo […] stiamo bruciando i ponti con la cultura italiana e
i media ci parlano dei rapper, dei Maneskin o Maneskot”.
L’accenno
ai Maneskin non è un attacco diretto al gruppo ma ad un’informazione che
abbandona la cultura per assecondare un pubblico che va esattamente nella
direzione opposta.
Come
sottolineato sopra tutti i media hanno lanciato le parole di Muti ma invece di
approfondire quello che ha detto si sono limitati a … dargli ragione.
Un
esempio è un giornalista (per chi ha il coraggio di definirlo tale) che ha
replicato sostenendo che Muti si è scagliato contro: “la rockband che
più di ogni altra, al momento, rappresenta la musica leggera italiana nel mondo”. Va da sé che se è questa l’eccellenza musicale del nostro
paese dobbiamo convenire che Muti ha ragione su tutto il fronte.
Che la cultura italiana sia in
caduta libera è sotto gli occhi di tutti, le istituzioni si impegnano allo
stremo per impoverire costantemente il nostro paese (un popolo senza cultura è
il popolo ideale per chi mira a controllare le masse) se pensiamo ai ministri
della cultura che si sono alternati negli ultimi lustri (di qualsiasi colore)
o, peggio ancora, al disfacimento della scuola, ecco che il cerchio si chiude.
Se abbiamo bisogno di ulteriori
prove del declino dei media (TV, social e i tanto celebrati youtuber) è il
puerile e vigliacco attacco a Muti definito, vecchio, sorpassato e con accenni
di senilità (evito di andare oltre) una società senza cultura è una società che
fa della maleducazione e dell’ignoranza (le due cose vanno a braccetto) il
proprio vessillo.
Naturalmente sono molte le persone
che vanno “in direzione ostinata e contraria” (per citare De Andrè, a proposito
di cultura) ma hanno poco spazio mediatico, d’altro canto una persona di grande
cultura ha un seguito esiguo, i media cercano i grandi numeri …
Molti
sosterranno che si tratta di una persona di 82 anni che non accetta il
“contemporaneo” ma lo spessore di Muti non può essere ignorato, cosi come non
possono passare in second’ordine le ultime due parole del discorso di due anni
fa: Tutto declina.
Il
declino è costante, e il declino culturale è dove la competenza, la voglia di
mettersi in gioco, il desiderio di confrontarsi, hanno lasciato il posto alla
maleducazione, alla pretesa di rispondere a tutto pur non sapendo nulla.
L’improvvisazione ha sbaragliato l’esperienza, l’incapacità e l’ignoranza
vengono esibite come trofei, l’analfabetismo funzionale è diventato un “must”,
nessuno vuole più imparare perché ha la convinzione di sapere tutto, si
combatte un ipotetico pensiero unico con un altro pensiero unico.
L’insulto
è la norma ma è risaputo che viene utilizzato da chi non sa argomentare, da chi
non accetta il pensiero altrui ma non ne ha uno suo.
In
fondo le parole di Muti raccontano la difficoltà di vivere nella mediocrità.
L'unico appunto che faccio a Riccardo Muti è quello di essere, per un attimo, sceso di livello, i Maneskin possono piacere o meno ma storpiare volutamente il nome non serve alla discussione, semmai ottiene l'effetto contrario, il concetto è chiaro ma anche la forma ha un suo valore.