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giovedì 30 novembre 2023

La bellezza e la sua forma

Tempo addietro, agli albori di questo blog (qui per chi fosse interessato) avevo presentato una piccolissima carrellata di opere del pioniere di una “corrente” destinata a cambiare il corso della storia dell’arte, mi riferisco all’impressionismo.

Camille Pissarro – Paesaggio a Chaponval, 1880 - Olio su tela cm 54 x 65 - Musée d’Orsay, Parigi


Il pittore nativo di St. Thomas ci mostra un paesaggio ordinato, lieve, quasi immobile nella sua eterna bellezza, con una ristretta gamma cromatica riesce a costruire quell’essenza armonica che solo le grandi opere sono in grado di creare.

La donna e la mucca al pascolo in primo piano si stagliano da verde prato pur facendone parte, lo stesso vale per le case, le colline in lontananza e il cielo sullo sfondo, sono perfettamente distinguibili ma si fondono gli uni negli altri.

Ad emergere non è un particolare della scena ma la serenità che la stessa convoglia verso lo spettatore, anche i tetti delle abitazioni, insolitamente di una sfumatura di blu, sono immersi naturalmente in uno schema quasi perfetto, tutto in assoluto equilibrio.

Benché il soggetto sia tutt’altro che originale è innovativo il concetto espresso da Pissarro in quanto ci mostra una visione bucolica di un mondo che spesso non lo è, anche se l’apparenza ci dice altro.

Quest’opera, al contrario di molte altre che oggi ci presentano lo stesso soggetto, è la narrazione di un tempo diretto verso un’evoluzione artistica, sociale e culturale che aveva ancora poco più di trent’anni davanti a sé, prima che alcuni avvenimenti nefasti ne troncassero la crescita.

sabato 25 novembre 2023

I (miei) riferimenti artistici oltre il tempo

Pensare alla situazione attuale e reinterpretarla con l’arte.

Cosa può rappresentare il momento che stiamo attraversando, non tanto riguardo alla causa quanto alle sensazioni che proviamo quando cerchiamo di osservare da una certa distanza un insieme di fattori al limite dell’assurdo.

Lucio Fontana - Concetto spaziale, attesa 1964

Gli eventi di questo momento storico mi portano ad un’opera di Lucio Fontana, un taglio netto nella tela e la differente interpretazione che può essere “trasposta” al nostro quotidiano.

Il taglio, se osservato con una certa distrazione, può apparire come una ferita inferta alla perfezione alla tela, senza approfondire non ci resta che il rimpianto della purezza perduta, una concezione che ci ha portato ad escludere tutte le possibili varianti.

Ma se andiamo oltre la visione che ci ha accompagnato fino ad ora ecco che tutto muta, la ferita inferta, con apparente violenza, si trasforma in una nuova opportunità.

“Concetto spaziale, attese” è il “nome” dato da Fontana a queste sue opere, se sappiamo andare oltre il canonico modo di vedere ciò che abbiamo di fronte, tutto si trasforma in un’occasione per crescere, il “taglio” non è più un’offesa, diventa il simbolo di rinascita.

Da quella fenditura, nella tela come nel tempo, può scaturire ciò che desideriamo, dobbiamo avere la pazienza di attendere e la convinzione che tutto è possibile.

E se dal “taglio” non dov’esse emergere nulla? L’apertura che prende forma per mano dell’artista ha comunque altre possibilità, può trasformarsi nell’invito ad entrare in una dimensione altra, forse migliore, sicuramente più aperta, dove la visione del tutto è a portata di mano, oppure non ci resta che attendere, anche all’infinito.

Ma è l’infinito il vero obbiettivo di Fontana? Non lo sappiamo con certezza ma sarebbe il fine ideale per un’opera spesso sottovalutata, sovente derisa, solo in poche occasioni considerata per quello che veramente rappresenta, per quello che significa per la storia dell’arte degli ultimi settant’anni e per ciò che trasmette ai giorni nostri.

lunedì 20 novembre 2023

l'immensità delle piccole cose.

Dai primi giorni di ottobre è in “scena" a Milano, nelle sale di Palazzo Reale, una mostra personale dedicata a Giorgio Morandi, il pittore bolognese era assente dal capoluogo lombardo da più di tre decenni, un vuoto che finalmente viene colmato.

Giorgio Morandi – Natura morta, 1951 - Olio tela cm 24,5 x 32 - Collezione privata


Artista sottovalutato dagli stessi amanti dell’arte e pressoché ignorato dal grande pubblico, Morandi incarna la visione intima e apparentemente semplice del vivere quotidiano dove le piccole cose, quelle che riteniamo banali in quanto utilizzate giornalmente per i nostri bisogni basilari, si ergono ad assolute protagoniste.

Sono proprio gli oggetti meno eclatanti, bottiglie, brocche, tazze, bicchieri, barattoli, a prendere possesso del centro della scena, posizionati su mensole, sopra ad un tavolo spoglio o inserite in un contesto dove è il vuoto a circondare i “protagonisti”.

L’influenza degli “sperimentatori” che nei primi decenni del 900 dettavano l’agenda artistica, in particolare la metafisica di De Chirico, non ha attecchito più di tanto, Morandi ha preferito seguire una personalissima strada che indaga i pensieri complessi all’interno delle piccole cose.

I suoi dipinti accompagnano lo spettatore in una “meditazione” dove la superficialità lascia il posto alla profondità, uno spazio intimo che ad un primo sguardo sembra quantomeno improbabile.

La mostra milanese, dal titolo “Morandi 1890, 1964” sarà visitabile fino al 4 febbraio 2024.    

mercoledì 15 novembre 2023

Chi, o qual è, il soggetto principale? L'opera nell'opera

 


Il famosissimo storico dell’arte statunitense Bernard Berenson (Bernhard Valvrojenski) elegantemente ammirato dalla scultura di Antonio Canova, la statua raffigura Paolina Borghese, altrettanto nota sorella di Napoleone Bonaparte.

La scultura è ripresa di spalle, al centro della scena c’è dunque Berenson.

L’opera in questione è senza dubbio la fotografia di David Seymour, il soggetto è il critico americano, mentre il capolavoro di Canova funge da “narrazione”.

Spesso, per non dire quasi sempre, ci imbattiamo in fotografie che immortalano opere d’arte, se l’opera è l’unico soggetto ripreso la fotografia non viene minimamente presa in considerazione (davanti ad uno scatto che riprende i Girasoli di Van Gogh, ad esempio, per noi si tratta del dipinto del pittore olandese e non di una riproduzione dello stesso) nel caso un’opera faccia parte di una “scenografia” più complessa allora è la fotografia ad essere l’opera d’arte.

In questo caso l’artista non è Canova ma Seymour, il soggetto non è la scultura e nemmeno Berenson, al centro della scena è il concetto di “osservazione dell’arte”, l’ammirazione dell’opera, fino all’estasi (evento rarissimo ma di un’intensità sconvolgente).

venerdì 10 novembre 2023

Tutto declina, Riccardo Muti e la società contemporanea (due anni dopo)

“E’ un mondo in cui non mi riconosco più. E siccome non posso pretendere che il mondo si adatti a me, preferisco togliermi di mezzo. Come nel Falstaff: Tutto declina”

Adrian Paci - Home to go (particolare)

Queste parole, estrapolate da un’intervista rilasciata da Riccardo Muti un paio di anni fa dicono molto più di quanto possa apparire ad un primo ascolto (o lettura), a questo si aggiunge una nuova “disamina” del livello culturale italiano che il noto direttore ha fatto in questi giorni.

Le parole di Muti vengono riportate da tutti gli organi di informazione ma in pochi hanno compreso l’obbiettivo dello sfogo: “La cultura nel nostro Paese sta attraversando un periodo ancora più drammatico, rivolto verso il basso, la casa di Lorenzo Da Ponte è in vendita ed è una vergogna. Parliamo di uno scrittore e poeta che dovrebbe essere studiato al liceo […] stiamo bruciando i ponti con la cultura italiana e i media ci parlano dei rapper, dei Maneskin o Maneskot.

L’accenno ai Maneskin non è un attacco diretto al gruppo ma ad un’informazione che abbandona la cultura per assecondare un pubblico che va esattamente nella direzione opposta.

Come sottolineato sopra tutti i media hanno lanciato le parole di Muti ma invece di approfondire quello che ha detto si sono limitati a … dargli ragione.

Un esempio è un giornalista (per chi ha il coraggio di definirlo tale) che ha replicato sostenendo che Muti si è scagliato contro: “la rockband che più di ogni altra, al momento, rappresenta la musica leggera italiana nel mondo. Va da sé che se è questa l’eccellenza musicale del nostro paese dobbiamo convenire che Muti ha ragione su tutto il fronte.

Che la cultura italiana sia in caduta libera è sotto gli occhi di tutti, le istituzioni si impegnano allo stremo per impoverire costantemente il nostro paese (un popolo senza cultura è il popolo ideale per chi mira a controllare le masse) se pensiamo ai ministri della cultura che si sono alternati negli ultimi lustri (di qualsiasi colore) o, peggio ancora, al disfacimento della scuola, ecco che il cerchio si chiude.

Se abbiamo bisogno di ulteriori prove del declino dei media (TV, social e i tanto celebrati youtuber) è il puerile e vigliacco attacco a Muti definito, vecchio, sorpassato e con accenni di senilità (evito di andare oltre) una società senza cultura è una società che fa della maleducazione e dell’ignoranza (le due cose vanno a braccetto) il proprio vessillo.

Naturalmente sono molte le persone che vanno “in direzione ostinata e contraria” (per citare De Andrè, a proposito di cultura) ma hanno poco spazio mediatico, d’altro canto una persona di grande cultura ha un seguito esiguo, i media cercano i grandi numeri …

Molti sosterranno che si tratta di una persona di 82 anni che non accetta il “contemporaneo” ma lo spessore di Muti non può essere ignorato, cosi come non possono passare in second’ordine le ultime due parole del discorso di due anni fa: Tutto declina.

Il declino è costante, e il declino culturale è dove la competenza, la voglia di mettersi in gioco, il desiderio di confrontarsi, hanno lasciato il posto alla maleducazione, alla pretesa di rispondere a tutto pur non sapendo nulla. L’improvvisazione ha sbaragliato l’esperienza, l’incapacità e l’ignoranza vengono esibite come trofei, l’analfabetismo funzionale è diventato un “must”, nessuno vuole più imparare perché ha la convinzione di sapere tutto, si combatte un ipotetico pensiero unico con un altro pensiero unico.

L’insulto è la norma ma è risaputo che viene utilizzato da chi non sa argomentare, da chi non accetta il pensiero altrui ma non ne ha uno suo.

In fondo le parole di Muti raccontano la difficoltà di vivere nella mediocrità.

L'unico appunto che faccio a Riccardo Muti è quello di essere, per un attimo, sceso di livello, i Maneskin possono piacere o meno ma storpiare volutamente il nome non serve alla discussione, semmai ottiene l'effetto contrario, il concetto è chiaro ma anche la forma ha un suo valore.


domenica 5 novembre 2023

Il trio delle meraviglie e della discesa (culturale) all'inferno


Grace Jones si trasforma in “tela”, Keith Haring dipinge il suo mondo, Robert Mapplethorpe cristallizza l’evento con uno scatto che fa parte della storia della fotografia, della pittura e del costume.

1984, la diva, l’artista e il fotografo, l’immagine di un periodo (gli anni 80) che con i suoi eccessi ha trasformato il nostro modo di vivere, l’inizio della decadenza che ha condotto il mondo verso l’evoluzione tecnologica.

Ma allora com'è possibile che un trio geniale possa diventare l’espressione di un’ascesa del vuoto?

Forse perché sono gli ultimi grandi artisti prima della rivoluzione contemporanea? Oppure si tratta di una decadenza culturale, mediatica, sociale, dove anche gli artisti faticano a fuggire?

Gli anno ottanta non sono certamente ricordati per il grande sviluppo culturale, sono anni in cui la maschera prende il sopravvento, dove l’essere è sostituito dall’apparire, tutto incentrato sulla sete inestinguibile di denaro, nascondendo il tutto dietro ad una vuota “evoluzione tecnologica”.

Quest’immagine dunque potrebbe rappresentare uno spartiacque che chiude un periodo di ricerca, di sperimentazione, di studio e di voglia di futuro, aprendone uno che ne è l’esatto opposto.

I nostalgici di un passato dove si guardava oltre il proprio naso, dove si “pensava” a lungo termine vedono lo scatto di Mapplethorpe come un’icona o una porta che si è definitivamente chiusa, i “follower” del nostro tempo inquadrano l’opera come l’inizio di una rivoluzione.

Con una sguardo più ampio è difficile collocare questa fotografia senza approfondirne le sfumature, tre grandi artisti di quarant’anni fa ricostruiscono la simbologia del tempo, un passato che, in quanto tale, non c’è più, un presente che si trascina ormai da tempo immemorabile sempre uguale a sé stesso e un futuro che perde ogni visione, nella speranza che qualcuno si (ci) svegli cosi che si possa ricominciare a camminare(in avanti).