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sabato 30 maggio 2020
L'assenza della raffigurazione divina che esalta la presenza di Dio, Lucio Fontana
sabato 23 maggio 2020
La realtà, l'illusione e ... Joseph Kosuth
Autore: Joseph Kosuth
(Toledo (U.S.A.) 1945)
L’opera di Kosuth
presenta una comune sedia pieghevole in legno posta al centro, a sinistra,
appesa alla parete, troviamo la riproduzione fotografica della sedia medesima, a
destra un pannello con stampata la definizione del termine “sedia” tratta da un
dizionario in lingua inglese.
La domanda che si
(e ci) pone l’artista americano è: qual è la sedia “reale”?
D’istinto senza
alcun dubbio indichiamo quella in centro, la sedia che possiamo utilizzare, ma
se volgiamo lo sguardo verso un passato “filosofico” andiamo a Platone che
sosteneva che prima viene l’idea, solo in seguito l’artigiano la realizza.
Seguendo questa
indicazione la nostra percezione si modifica, la sedia originale è nel pannello
di destra, lì troviamo la descrizione della sedia, in un secondo tempo viene
realizzata (artigianalmente o a livello industriale) per ultima la fotografia
dove l’artista ne realizza il ritratto.
Siamo a metà degli
anni sessanta del novecento, non esiste ancora internet e anche i cataloghi
illustrati sono poco conosciuti, per questo motivo devo viaggiare nel tempo e
giungere fino a noi, è nel ventunesimo secolo che prende forma un’idea che
Kosuth aveva solo ipotizzato.
Ormai moltissimi di
noi acquistano gli oggetti più disparati facendo riferimento ad un’immagine, se
dobbiamo comprare una sedia online ci affidiamo alla sua riproduzione
fotografica, ne leggiamo la descrizione e solo alla fine, quando riceviamo
l’oggetto possiamo ammirarlo e utilizzarlo.
Se seguendo il
concetto filosofico la sedia originale è nella descrizione, una lettura contemporanea
ci dice che è la fotografia la matrice della sedia stessa, mentre, come
sottolineavo prima, la logica ci porterebbe dritto alla sedia di legno.
Ognuno ha una
propria risposta, quale sia quella giusta non saprei, ogni conclusione è valida,
fondamentalmente non ritengo sia importante che si giunga ad una decisione definitiva,
penso che il senso di quest’opera sia quello di spingere ad una riflessione,
non importa dove il ragionamento ci può portare, non necessariamente ci deve
essere un fine ultimo, penso, al
contrario che la “discussione” con noi stessi, prima ancora che con gli altri,
possa essere infinita.
sabato 16 maggio 2020
Inseguendo la perfezione, Walter De Maria
sabato 9 maggio 2020
La profondità e la leggerezza del colore, Josef Albers
sabato 2 maggio 2020
L'arte di emozionare, Marina Abramovic e Ulay
Legati da una passione intensa (si sono incontrati ad Amsterdam, lei ventenne lui di tre anni più giovane e da subito c’è stata intesa, sentimentale e artistica) che ha dato alle loro esibizioni una credibilità che altrimenti sarebbe apparsa artificiosa.
Se l’arte per essere tale deve trasmettere sensazioni, anche contrastanti, ed emozioni più o meno forti, non possiamo fare altro che ammettere che questa è arte, forse ancor di più di forme universalmente riconosciute ma che sono bel lungi da questa intensità.