Pagine

sabato 27 luglio 2019

Il critico d'arte e la malafede, Raoul Hausmann


Autore:   Raoul Hausmann
(Vienna, 1886 – Limoges, 1971)

Titolo dell’opera: Il critico d’arte – 1919-20

Tecnica: Fotomontaggio

Dimensioni: 31,5 cm x 25,5 cm

Ubicazione attuale:  Tate Gallery, London






Una matita nella mano destra, una banconota che spunta dal colletto della giacca, una scarpa incollata in fronte da cui escono alcune monete.

L’opinione di Hausmann sui critici d’arte è quantomeno polemica, gli occhi vengono coperti da disegni che ne mostrano le fattezze ma che in pratica ne impediscono l’uso, la bocca è disegnata e ne fuoriesce una lingua appuntita.

I simboli che l’artista viennese utilizza sono tutt’altro che nascosti, il critico d’arte è visto come colui che utilizza la penna come si impugna una spada, la scrittura per combattere più che per comprendere.

Gli occhi coperti gli impediscono di “vedere” la realtà e la banconota e le monete fanno capire che tutto quello che dice o scrive non è espresso liberamente ma che ha un fondo mercenario.

Il critico d’arte dovrebbe guidare il pubblico verso una ricerca del senso critico, al contrario spesso si limita a stroncare o a esaltare  in base a pressioni o a interessi personali.

Come sempre è il tempo che ci dirà qual è il critico che mette l’arte sopra tutto e chi invece calpesta l’arte stessa inseguendo altre finalità.

sabato 20 luglio 2019

Le miserie di un mondo perduto? Fernando Botero


Autore:   Fernando Botero
(Medellín, 1932)

Titolo dell’opera: Cristo e la moltitudine - 2010

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 106 cm x 81 cm

Ubicazione attuale:  Museo d’Antioquia, Medellín






Parte di una serie dedicata alla Passione di Cristo, quest’opera racconta il passato riflesso nel presente.

Cristo, mesto, sofferente, sconfitto nell’animo, si dirige verso il proprio destino circondato da una moltitudine di persone che lo ignorano, ignorano la sofferenza mettendo in mostra una rabbia ed una cattiveria che possiamo notare per le strade, nelle case, ovunque ci volgiamo nel nostro contemporaneo.

I vestiti della gente sono quelli che oggi indossiamo, il riferimento a ciò che sta succedendo nel nostro tempo è evidente.

Botero vuole sottolineare i comportamenti di un’umanità in declino, dove chi soffre, chi si trova in difficoltà viene additato come una minaccia.
Difficile non pensare al Cristo porta croce (attribuito alla bottega di Hieronymus Bosch) dove il Cristo era circondato da altrettanti personaggi loschi tetri, la personificazione dei mali terreni.

Ma mentre il Cristo di Bosch ci mostra un volto sereno, quasi a dirci che in fondo c’è sempre la speranza di una resurrezione morale, in quest’opera di Botero Gesù appare sfiduciato, sembra che anche la più piccola speranza di rinascita sia solo un’utopia.


Il pittore colombiano riflette sui drammi e le violenze del proprio paese ma non può ignorare ciò che accade nel resto del mondo dove ci si chiude in se stessi, dove l’isolamento razziale e la condanna di ciò che è diverso sembra essere diventato l’obbiettivo ultimo ed unico.

sabato 13 luglio 2019

Astrattismo e filosofia.



L’astrazione “filosofica” o la filosofia dell’astrazione.

La rappresentazione “astratta” cerca di riassumere un concetto universalmente riconosciuto o insegue l’idea “sottrattiva”?

Vuole sintetizzare (più che riassumere va intesa nell'accezione che troviamo in chimica, raggiungere un punto di “purezza”) il pensiero portandolo all'essenza o è un modo di rappresentare la realtà senza che la stessa venga mostrata palesemente?

L’astrazione è la realtà nella sua forma più “alta” o è semplicemente il modo per spingere sia chi crea che chi usufruisce del risultato ad una ricerca più “profonda”?



Nell’immagine: Philip Guston - To B.W.T ., 1952 . Olio su tela ,123,2 x 130,8 cm . Collezione Jane Lang Davis, Washington

sabato 6 luglio 2019

L'idea geniale, il testamento di un artista fuori da ogni schema prestabilito, Marcel Duchamp.

All’interno del Philadelphia Museun of Art, dell’omonima città americana, si trova una delle installazioni più geniali del XX secolo.

Visitando le sale espositive del museo si giunge in uno spazio praticamente deserto, nessun dipinto nessuna scultura o qualcosa che attiri l’attenzione, a “rompere” la monotonia delle nude pareti vi è solo una vecchia porta in legno murata con dovizia, nient’altro, nessuna descrizione nessuna indicazione (in seguito venne apposta una targhetta per evitare che tutti i visitatori se ne andassero).

Le reazioni del pubblico sono di tre tipi, alcuni (la maggioranza) si ferma davanti alla porta, indugia, si guarda attorno perplessa e lascia la stanza.

Altri cercano, spingendo leggermente, di aprirla o perlomeno cercano di capire se porta da qualche parte, la resistenza dei battenti fa pensare ad un accesso di servizio chiuso al pubblico, anche in questo caso il visitatore se ne va senza capire il senso di quella stanza vuota.



C’è però una parte di curiosi che pazientemente si ferma ad osservare il vecchio portone e i più attenti scorgono, tra i segni del tempo che hanno intaccato il legno, due fori ad altezza degli occhi.

A questo punto ci si avvicina e si “spia” attraverso i due pertugi ed ecco apparire l’opera del controverso artista francese Marcel Duchamp (che firma l'opera con lo pseudonimo di Rrose Sélavy)

Dietro il massiccio portone troviamo un paesaggio boschivo dove la figura di una donna completamente nuda ne è la protagonista.


Il corpo appare abbandonato fra le sterpaglie, la posizione quasi innaturale fa pensare ad una donna senza vita, abbandonata dopo una violenza.


L’idea che siamo noi, in quanto “profanatori” che spiano l’intimo vissuto della donna, i colpevoli è ciò che fa di quest’opera un capolavoro assoluto, in fondo è la nostra decisione, se osservare o meno dai due forellini, a rendere la violenza reale o meno, una questione che ci fa riflettere, a distanza di decenni è ancora attuale. 

Concetto qust'ultimo che può essere capovolto, infatti la nostra "missione" di voyeur ci rende testimoni di un fatto che, se non visto, verrebbe dimenticato.

Non si vede il volto e nemmeno la testa, ma la donna non è totalmente inerme, infatti con la mano destra regge una lampada a gas.

Sullo sfondo si può notare una piccola cascata d’acqua.

Étant donnés: 1. La chute d'eau, 2. Le gaz d'éclairage (ovvero Dati: 1. La cascata, 2. L'illuminazione a gas) è il titolo di questa installazione su cui Duchamp ha lavorato per vent’anni fino alla sua morte.

Sarà la seconda moglie Alexina Sattler (che posò per il braccio che regge la lampada mentre per il resto del corpo si pensa che la modella fu Maria Martins compagna di Duchamp dal 1946 anno dell’inizio dei lavori sull’opera ed il 1951) a rendere pubblico quello che è sicuramente il testamento artistico del geniale artista francese.

Seguendo il volere di Duchamp l’installazione viene prelevata dallo studio del pittore e rimontata al Philadelphia Museum, Duchamp aveva lasciato anche un manuale con la descrizione dettagliata delle istruzione per una “ricostruzione” perfettamente in linea con il proprio pensiero.

Duchamp lascia tutti di nuovo a bocca aperta chiudendo con quest’opera una vita fatta di sorprendenti  ribaltamenti concettuali, dalla negazione dell’arte “retinica” ha voluto spiazzare tutti mettendo in scena ciò che aveva rinnegato.

Per chi volesse “spiare” ciò che si trova oltre la porta questo video ci da l’idea di quanto fosse esteso il suo pensiero.