Una matita nella
mano destra, una banconota che spunta dal colletto della giacca, una scarpa
incollata in fronte da cui escono alcune monete.
L’opinione di
Hausmann sui critici d’arte è quantomeno polemica, gli occhi vengono coperti da
disegni che ne mostrano le fattezze ma che in pratica ne impediscono l’uso, la
bocca è disegnata e ne fuoriesce una lingua appuntita.
I simboli che l’artista
viennese utilizza sono tutt’altro che nascosti, il critico d’arte è visto come
colui che utilizza la penna come si impugna una spada, la scrittura per
combattere più che per comprendere.
Gli occhi coperti
gli impediscono di “vedere” la realtà e la banconota e le monete fanno capire
che tutto quello che dice o scrive non è espresso liberamente ma che ha un
fondo mercenario.
Il critico d’arte
dovrebbe guidare il pubblico verso una ricerca del senso critico, al contrario
spesso si limita a stroncare o a esaltarein base a pressioni o a interessi personali.
Come sempre è il
tempo che ci dirà qual è il critico che mette l’arte sopra tutto e chi invece
calpesta l’arte stessa inseguendo altre finalità.
Parte di
una serie dedicata alla Passione di Cristo, quest’opera racconta il passato
riflesso nel presente.
Cristo,
mesto, sofferente, sconfitto nell’animo, si dirige verso il proprio destino
circondato da una moltitudine di persone che lo ignorano, ignorano la
sofferenza mettendo in mostra una rabbia ed una cattiveria che possiamo notare
per le strade, nelle case, ovunque ci volgiamo nel nostro contemporaneo.
I vestiti
della gente sono quelli che oggi indossiamo, il riferimento a ciò che sta
succedendo nel nostro tempo è evidente.
Botero
vuole sottolineare i comportamenti di un’umanità in declino, dove chi soffre,
chi si trova in difficoltà viene additato come una minaccia.
Difficile
non pensare al “Cristo porta croce” (attribuito alla bottega di
Hieronymus Bosch) dove il Cristo era circondato da altrettanti personaggi
loschi tetri, la personificazione dei mali terreni.
Ma mentre
il Cristo di Bosch ci mostra un volto sereno, quasi a dirci che in fondo c’è
sempre la speranza di una resurrezione morale, in quest’opera di Botero Gesù
appare sfiduciato, sembra che anche la più piccola speranza di rinascita sia
solo un’utopia.
Il pittore
colombiano riflette sui drammi e le violenze del proprio paese ma non può
ignorare ciò che accade nel resto del mondo dove ci si chiude in se stessi,
dove l’isolamento razziale e la condanna di ciò che è diverso sembra essere
diventato l’obbiettivo ultimo ed unico.
L’astrazione “filosofica” o la
filosofia dell’astrazione.
La rappresentazione “astratta” cerca di riassumere un
concetto universalmente riconosciuto o insegue l’idea “sottrattiva”?
Vuole sintetizzare (più che riassumere va intesa
nell'accezione che troviamo in chimica, raggiungere un punto di “purezza”) il
pensiero portandolo all'essenza o è un modo di rappresentare la realtà senza
che la stessa venga mostrata palesemente?
L’astrazione è la realtà nella sua forma più “alta” o è
semplicemente il modo per spingere sia chi crea che chi usufruisce del
risultato ad una ricerca più “profonda”?
Nell’immagine: PhilipGuston - To B.W.T ., 1952. Olio su tela,123,2 x 130,8 cm . Collezione Jane Lang Davis, Washington
All’interno del
Philadelphia Museun of Art, dell’omonima città americana, si trova una delle
installazioni più geniali del XX secolo.
Visitando le sale
espositive del museo si giunge in uno spazio praticamente deserto, nessun
dipinto nessuna scultura o qualcosa che attiri l’attenzione, a “rompere” la
monotonia delle nude pareti vi è solo una vecchia porta in legno murata con
dovizia, nient’altro, nessuna descrizione nessuna indicazione (in seguito venne
apposta una targhetta per evitare che tutti i visitatori se ne andassero).
Le reazioni del
pubblico sono di tre tipi, alcuni (la maggioranza) si ferma davanti alla porta,
indugia, si guarda attorno perplessa e lascia la stanza.
Altri cercano,
spingendo leggermente, di aprirla o perlomeno cercano di capire se porta da
qualche parte, la resistenza dei battenti fa pensare ad un accesso di servizio
chiuso al pubblico, anche in questo caso il visitatore se ne va senza capire il
senso di quella stanza vuota.
C’è però una parte
di curiosi che pazientemente si ferma ad osservare il vecchio portone e i più
attenti scorgono, tra i segni del tempo che hanno intaccato il legno, due fori
ad altezza degli occhi.
A questo punto ci
si avvicina e si “spia” attraverso i due pertugi ed ecco apparire l’opera del
controverso artista francese Marcel Duchamp (che firma l'opera con lo pseudonimo di Rrose Sélavy)
Dietro il massiccio
portone troviamo un paesaggio boschivo dove la figura di una donna
completamente nuda ne è la protagonista.
Il corpo appare
abbandonato fra le sterpaglie, la posizione quasi innaturale fa pensare ad una
donna senza vita, abbandonata dopo una violenza.
L’idea che siamo
noi, in quanto “profanatori” che spiano l’intimo vissuto della donna, i colpevoli è ciò che
fa di quest’opera un capolavoro assoluto, in fondo è la nostra decisione, se
osservare o meno dai due forellini, a rendere la violenza reale o meno, una
questione che ci fa riflettere, a distanza di decenni è ancora attuale. Concetto qust'ultimo che può essere capovolto, infatti la nostra "missione" di voyeur ci rende testimoni di un fatto che, se non visto, verrebbe dimenticato.
Non si vede il
volto e nemmeno la testa, ma la donna non è totalmente inerme, infatti con la
mano destra regge una lampada a gas.
Sullo sfondo si può
notare una piccola cascata d’acqua.
Étant donnés: 1. La chute d'eau, 2. Le gaz
d'éclairage (ovvero Dati: 1. La cascata, 2. L'illuminazione a gas) è il titolo di
questa installazione su cui Duchamp ha lavorato per vent’anni fino alla sua
morte.
Sarà
la seconda moglie Alexina Sattler (che posò per il braccio che regge la lampada
mentre per il resto del corpo si pensa che la modella fu Maria Martins compagna
di Duchamp dal 1946 anno dell’inizio dei lavori sull’opera ed il 1951) a
rendere pubblico quello che è sicuramente il testamento artistico del geniale
artista francese.
Seguendo
il volere di Duchamp l’installazione viene prelevata dallo studio del pittore e
rimontata al Philadelphia Museum, Duchamp aveva lasciato anche un manuale con
la descrizione dettagliata delle istruzione per una “ricostruzione” perfettamente
in linea con il proprio pensiero.
Duchamp
lascia tutti di nuovo a bocca aperta chiudendo con quest’opera una vita fatta
di sorprendenti ribaltamenti
concettuali, dalla negazione dell’arte “retinica” ha voluto spiazzare tutti
mettendo in scena ciò che aveva rinnegato.
Per
chi volesse “spiare” ciò che si trova oltre la porta questo video ci da l’idea
di quanto fosse esteso il suo pensiero.