(Maiderich,
4 gennaio 1881 – Berlino, 25 marzo 1919)
Titolo
dell’opera: Il caduto – 1915-16
Tecnica: Bronzo
Dimensioni:
78 cm x 239 cm x 83 cm
Ubicazione attuale: Staatsgalerie Modern Kunst, Monaco
Dal 1910 al 1914,
anno in cui venne richiamato in patria causa l’inizio della guerra, Lehmbruk
ebbe l’occasione di conoscere e frequentare artisti come Matisse, Modigliani e
Archipenko, ma è l’incontro con Costantin Brancusi che ne indirizza l’ideale
artistico.
Nel 1915 presta
servizio in un ospedale da campo, negli anni del conflitto realizza alcune
opere e fra queste c’è “Il caduto” emblema della discesa morale e fisica dell’umanità
in guerra.
La scultura mette
in evidenza la fine delle energie fisiche e mentali dei tanti giovani
fagocitati dalla follia bellica.
Il corpo allungato
che sprigiona le ultime energie ala ricerca dell’ultimo respiro, l'estremo tentativo di risollevarsi.
La figura scarna e
senza forze è in procinto di cedere definitivamente nonostante gli sforzi, il
movimento di braccia e gambe permettono solo di strisciare, simbolo assoluto
della fine della dignità umana.
Ma c’è un punto di
vista che non dev’essere trascurato, l’uomo è allo stremo delle forze ma non è
ancora definitivamente sconfitto, la posizione del corpo sembra formare un
ponte, un passaggio, un messaggio di speranza, il sacrificio di molti uomini e
donne può servire per trasportare l’umanità al di la dell’orrore, scavalcare la
mostruosità ideologica della guerra e raggiungere cosi una terra di pace.
Il Giudizio
Universale di Michelangelo Buonarroti è un’opera di infinita grandezza nel suo
insieme e al contempo è una fonte inesauribile di particolari, simbologie più
o meno nascoste che estrapolano dalla “narrazione ultima” infiniti spunti.
In
questo caso mi voglio concentrare sul gruppo in basso al centro appena sopra
gli scenari futuri del paradiso e dell’inferno.Siamo
di fronte agli angeli cosiddetti tubicini, angeli con le trombe che annunciano
la fine dei tempi, il suono richiama i vivi ed i morti alle loro
responsabilità. Dovranno presentarsi al cospetto di Gesù che deciderà la
destinazione delle anime in base al comportamento terreno.
Adagiati
sulle nuvole troviamo due angeli che
tengono tra le mani due libri aperti, ma non sono rivolti verso chi li apre ma
verso il basso.
I libri
sono di dimensioni differenti, a destra un grande volume guarda verso l’inferno,
il libro è grande perché grandi sono i peccati dell’uomo, grande perché sono
molti i peccatori.
A
sinistra il piccolo libro è rivolto verso il paradiso, naturalmente le
dimensioni riflettono il numero limitato di meriti e delle virtù dell’umanità.
In questo punto risiede l'inizio della “lettura” di questo capolavoro, la base di partenza di un racconto pittorico che va oltre l'infinita e meravigliosa presenza scenica, il giudizio si apre con la chiamata e
con la presentazione della condotta, più o meno meritoria,tenuta nei giorni di vita terrena.
Nel 2008 il
cantautore lariano pubblica, all’interno dell’album “Pica”, la ballata folk “La
terza onda”.
Metafora dei
desideri più intimi dell’uomo, una toccante “espressione” del sentimento
atavico della ricerca di se stessi attraverso il viaggio.
Davide Van de
Sfroos, pseudonimo di Davide Bernasconi, porta nel nome d’arte il desiderio di
andare dove non è concesso dalle nostre stesse convinzioni (de Sfroos sta per “andare
di frodo”, non legato al significato di “caccia di frodo” ma nel senso più
intimo di ricerca di strade al di fuori dei dettami comuni)
Lo stesso cantante racconta
la simbologia delle tre onde, la prima l’onda che spinge al largo, la voglia di
partire alla ricerca di qualcosa che riempia il vuoto che le abitudini
quotidiane inevitabilmente lasciano, una spinta verso l’ignoto, verso qualcosa
di nuovo.
La seconda è l’onda
che spinge verso la riva, quella che ci indirizza verso il ritorno a casa
quando si fa sempre più pressante la nostalgia delle persone o dei luoghi che
abbiamo lasciato.
Ma protagonista del
brano è la terza onda, l’onda che aspettiamo, quella che, superati
gli ostacoli delle precedenti, rivela il nostro essere, la terza onda è quella
definitiva, è il futuro non svelato ma forse già scritto o da scrivere, è
quella che ti fa sentire vivo, quella che da un senso alla vita che, come le onde reali e non metaforiche, sale e scende continuamente ma che nonostante tutto non si ferma mai.
Per chi non ha
familiarità con il dialetto “laghee” (dialetto del lago di Como) propongo una
traduzione che naturalmente fatica a “sposarsi” con la melodia
(nell'immagine: Ivan Aivazovsky - Ship on Stormy Seas Giclee. part.)
La terza onda
Barca tocca la riva, sfrega la punta e gratta la spiaggia
Terra, terra arrabbiata che si lamenta per ogni mio passo,
Troppa, troppa la notte che ho trascorso sull’acqua
fantasma,
Terra, terra bastarda che sposerà il vento per soffiarmi
negli occhi
Onda, lama spezzata, labbra di dama e lingua di frusta
Onda, che accarezza, onda che rovista e mescola i riflessi
Onda, mano che mi prende e mi porta fino a casa mia,
Onda, onda seconda che mi spinge ancora in mezzo al lago
Vita, vita da fiocina, vita infilzata di punta sul fondo
Vita, vita mulagna che gira la ruota e tira la corda
Terra, terra che aspetta ogni spazzatura che il lago porta
a riva
Terra che ogni mattina con la stessa espressione aspetta
anche me
E sono qui ad aspettare la terza onda e sono qui per
vedere come sarà
E sono pronto a baciare la terza onda e sono pronto a
prendere tutti i suoi schiaffi
Donna, donna sbagliata, rosa tagliata e poi gettata via,
Donna, donna di terra rosa che non era la mia
Rosa che ti punge e intanto che punge ti lascia il
profumo,
Donna che impara dall’onda a ricordarti che eri un uomo
Rema, rema via il mondo fin dove l’acqua non ha più
memoria,
Scappa da quella corda che gira e che gira e ti lega al
pontile,
Onda, onda bugiarda, prima ti spinge e poi ti spruzza
Aria di carta vetrata che sfrega e che sfrega per farti
tornare indietro
Vita che si incastra e che è disegnata a lisca di pesce,
Vita che scivola verso quel luogo dove hai voglia di
essere,
Onda che ti porta fino all’altra sponda
Per farti sentire più forte la voglia di tornare a casa
Vania Elettra Tam con piglio ironico ma seriamente realista
mette in scena la complicata quotidianità della donna del terzo millennio.
Sospesa 1
Mamma, moglie, casalinga, professionista, non importa cosa
faccia nella vita, qualunque occupazione è portata a termine, tra i molteplici
ostacoli, con eroici e ingegnosi equilibri.
La donna chiede aiuto ma deve sempre sbrigarsela da sola,
SOS in precario e continuo equilibrio, lo scorrere della giornata tra gli
impegni lavorativi, quelli di mamma e casalinga nonostante il lavoro, e
soprattutto in bilico tra le barriere culturali e gli stereotipi di una società
che pretende tutto da loro senza dare nulla in cambio.
La pittrice comasca denuncia una vita complicata che viene
recepita dai più come ordinaria amministrazione ma che mostra uno spirito combattivo
ed un talento organizzativo che permette loro di avanzare, seppur a fatica, in
un mondo strutturalmente e concettualmente ostile.
In questa serie, titolata appunto “SOSpese” Vania Elettra
Tam “racconta” le avventurose peripezie della donna comune, che forse comune non
è.