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lunedì 21 aprile 2025

La percezione e gli equilibri instabili

Qualche anno fa, in occasione di una visita ad una mostra itinerante dedicata alla follia, mi sono imbattuto in un dipinto che si inseriva benissimo nel contesto della manifestazione, il quadro ci mostra due persone una seduta, l’altra appoggiata allo stipite di quella che sembra una porta d’accesso ad una dimensione “altra”, l’entrata era solo una delle tante che si susseguono costruendo cosi un corridoio quasi infinito, il tema della mostra, la follia o la pazzia, ci indirizza verso una direzione precisa, quella del viaggio della mente.



Il dipinto non è certo un’opera di grande valore tecnico, ho visto decisamente di meglio ma c’è in giro anche di peggio.

Al di là della sensazione di disagio, di un claustrofobico fastidio, la tela non ci dice molto, non entra nell’anima dell’osservatore, si limita a dirci qualcosa ma lo fa senza convinzione.

Superato il primo approccio visivo vado con lo sguardo sulla targhetta che descrive l’opera, il titolo è “Untitled”, l’autore Adolf Hitler.

Inutile dire che la percezione del dipinto non può essere la stessa se lo accostiamo ad un nome che è l’incarnazione della pazzia nella sua versione più tragica, conoscendo il nome del pittore non muta il giudizio estetico e tecnico, il concetto che sta dietro (o dentro) al quadro prende un’altra forma.


Il cortile della vecchia residenza di Monaco, 1907

Oltre a quel quadro ne propongo un altro dello stesso autore, un acquerello dai toni meno opprimenti, un’opera che se realizzata da qualcun altro  potremmo anche definirla gradevole. Ma sapendo che anche questo paesaggio è opera di Hitler le ombre sulla parete della costruzione prendono forma trasformandosi in qualcosa di malvagio?

Quanto siamo condizionati dal nome di un artista? Quante volte davanti ad una tela la nostra interpretazione e il nostro apprezzamento non muta, anche solo in minima parte, nell’istante in cui conosciamo l’autore?

Un grande artista innalza un’opera in quanto siamo propensi ad approfondire il perché è stata realizzata in quel modo, non dico che cambiamo opinione ma le conoscenze di chi la realizza ne moltiplica i punti di osservazione.

Nel caso specifico delle opere di Hitler è praticamente impossibile scindere l’oggetto dal suo creatore, cosi come è impossibile separare l’artista dall’uomo, al punto che in moltissimi hanno chiesto la rimozione del dipinto in quanto realizzato da tale essere e non per ciò che voleva rappresentare.

Lo stesso curatore della mostra, Vittorio Sgarbi, disse che il quadro era un’autentica porcheria (ha usato altri termini ma il senso è quello) ma che ha deciso di inserirlo in quanto lo steso pittore era parte integrante della narrazione della mostra.

Questo dimostra che non solo l’uomo dietro l’artista, e a sua volta dietro il quadro, riesce ad influenzare la percezione ma addirittura è l’aspetto umano a prendere il sopravvento.

Non so se sia più o meno giusto ma la tela non era esposta perché rappresentava la follia, era parte della mostra in quanto il suo autore ne ere un tragico e sconvolgente esempio.

giovedì 10 aprile 2025

Da che "lato" si guarda un'opera?

1967, l’artista genovese Giulio Paolini scatta una fotografia al dipinto di Lorenzo Lotto, “Ritratto di giovane”, esposto alla Galleria degli Uffizi a Firenze.

Da sinistra a destra: Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane - Giulio Paolini, Giovane che guarda Lorenzo Lotto

Lo scatto riprende il dipinto del pittore veneziano e lo riproduce mantenendo le misure originali.

Decide cosi di esporre la fotografia con un titolo preciso “Giovane che guarda Lorenzo Lotto”.

Emerge cosi, con estrema dirompenza, il tema del punto di vista, tema che lo stesso Paolini elaborerà ulteriormente nel 1981 sostituendo gli occhi del giovane con i propri, a questo punto non solo abbiamo il ribaltamento dl principio soggetto-opera-artista ma è l’artista che quasi cinque secoli dopo utilizza il dipinto per trasportarsi indietro nel tempo e porsi di fronte al Lotto.

Chi guarda chi, lo stesso Paolini ha sempre sostenuto che l’opera non guarda l’osservatore, non è minimamente interessata a ciò che pensiamo, a quello che intuiamo, ovunque la nostra interpretazione sia diretta al quadro non può fregare di meno.

Siamo sempre noi dunque, autori e fruitori dell’opera d’arte, alla continua ricerca di un senso (se vogliamo a tutti i costi  darne uno) o di un percorso, spesso puramente filosofico, che ci conduca in un luogo che nemmeno immaginiamo esista, l’idea che la destinazione non sia totalmente preclusa basta e avanza per cercarne l’ubicazione.

Se ci lasciamo influenzare dal concetto di Paolini possiamo andare oltre, il giovane guarda Lorenzo Lotto, e questo è oggettivo, ma potrebbe anche concentrarsi sull’osservatore che ne ammira le fattezze.

E se la fotografia si fosse intitolata “Giovane, ritratto da Lorenzo Lotto, che guarda il fotografo”?