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venerdì 28 febbraio 2025

Liberiamoci dei nostri demoni (e paghiamone le conseguenze)

“Già da quando avevo 17 anni ero convinto che sarei diventato famoso. Pensavo a tutti i miei miti: Charlie Parker, Jimi Hendrix … Avevo una curiosità romantica di sapere come la gente ce l’aveva fatta.”

Jean Michel Basquiat

 

Jean Michel Basquiat – Autoritratto 1982 – Acrilico e pastello – Collezione privata


Ce l’ha fatta ha raggiungere il suo obbiettivo? La risposta non può che essere affermativa, il prezzo da pagare è stato alto, ne valeva la pena?

A questa seconda domanda può rispondere solo Basquiat, questo significa che la risposta non c’è.

Ma perché il pittore newyorkese è diventato uno dei simboli fondamentali dell’arte dell’ultimo mezzo secolo? Davanti alle sue opere spesso si pensa ad una deriva artistica contemporanea, ma di contemporaneo c’è ben poco, non certo per il concetto espresso ma dal tempo trascorso da allora.

Se un artista è riconosciuto come snodo basilare per un percorso culturale, dopo quasi cinquant’anni, come possiamo ignorarne il valore basandoci su ciò che ci limitiamo a vedere e, spesso, senza capirne il senso?

Jean Michel era figlio della cultura della discriminazione, è il simbolo di chi, con forza, determinazione e un poco di fortuna, può abbattere, o perlomeno aprire delle brecce, in quei muri sociali che l’umanità ha sempre costruito.

Ha pagato tutto ciò per un qualcosa che andava contro il sistema? Ha pagato per qualcosa che andava al di là delle proprie forze? Forse ne l’uno ne l’altro, semplicemente non aveva accanto qualcuno che lo riparasse dall’uragano emozionale che l’ha travolto.

Ma se avesse avuto vicino le persone giuste sarebbe stato in grado di riversare sulla tela tutti i suoi demoni?

Niente è per caso, a volte servono dei compromessi per sopravvivere, qualcuno li trova chiudendo i propri fantasmi in cassetti sigillati, altri aprono il vaso di Pandora lasciando fluire tutto ci che hanno dentro, ma questo presenta sempre il conto.

A noi il compito di fare in modo che tutto questo non vada perduto.


giovedì 20 febbraio 2025

L'arte è "negoziabile"? (Part. 3)

In una trasmissione televisiva, il cui scopo era quello di far luce sul lavoro delle gallerie d’arte e la crescente difficoltà che molte di loro hanno nel tenere aperti i battenti, sono incappato nell’ennesima stortura del mercato, o meglio, nell’errata direzione seguita da chi è parte del mercato dell'arte.

Immagine dal Web

Uno dei galleristi è ripreso mentre cerca di convincere l’acquirente di turno sulla bontà della merce in vendita.

Parlando di un’opera di Gerhard Richter ha sottolineato l’importanza di possedere un dipinto del pittore tedesco perché: “Richter è l’artista vivente con la più alta rivalutazione delle proprie opere”.

Questo mi ha portato indietro di qualche anno, ero entrato in una piccola galleria di un piccolo centro, non molto lontano da dove vivo, il proprietario, un ragazzotto stretto in un completo grigio, il cui scopo, non riuscito, era di farlo sembrare più professionale, non mi ha dato nemmeno il tempo di entrare che mi si è incollato addosso congratulandosi con me per essere arrivato nel momento giusto, avevo la fortuna e il privilegio di cogliere l’occasione della vita, acquistare un dipinto di un’artista, che non avevo mai sentito nominare (naturalmente la colpa è mia e comunque conoscere nuovi artisti è sempre una mia prerogativa) e che secondo lui (che ho scoperto in seguito essere figlio di un altro gallerista, il ché spiega molte cose) avrebbe moltiplicato il valore in un breve lasso di tempo.

In una galleria d’arte mi aspetto di poter dialogare e condividere nozioni sull’argomento artistico ma sono bastati alcuni accenni per capire che di arte il giovanotto non ne sapeva nulla, ho conosciuto gente non appassionata che ne sapeva di più.

I minuti trascorsi in quel luogo sono passati (lentamente) ascoltando teorie su quanto avessi guadagnato se compravo il tal quadro e l’avessi venduto da lì a un lustro, o quanto avrei potuto arricchirmi se portavo a casa altre opere rivendendole in seguito, tempo passato a parlare di acquisti, vendite, guadagni, investimenti ecc., nulla che riguardasse l’aspetto artistico, aspetto che al (poco o per niente) professionista era sconosciuto.

Qui torniamo all’individuo citato all’inizio, nelle gallerie il denaro è al centro della discussione, questo non ci scandalizza, anzi, lo scopo di questi negozi, perché una galleria d’arte altro non è che un negozio, è vendere, altrimenti sarebbero obbligati a chiudere, ma siccome l’arte è anche qualcosa che va oltre l’aspetto materiale, mi aspetto che se entro in un luogo dedicato ad essa emerga anche l’aspetto spirituale.

Molti sosterranno che il denaro è l’unica cosa che conta per il mercato, può darsi, non lamentiamoci però se, al netto dei super ricchi, si fatica a vendere a collezionisti dal livello (economico) più basso, e se, come lamentano in molti, la gente comune passando davanti ad una galleria si guarda bene dall’entrare, essere assaliti da venditori incompetenti non è il sogno di chi vuole acquistare emozioni.

lunedì 10 febbraio 2025

In alto, in attesa del tempo

Le scale mobili ci accompagnano al penultimo piano del Museo del 900 a Milano, salendo iniziamo immediatamente ad ammirare il soffitto che, a sua volta, fa da pavimento all’ultima sala.



L’opera che si erge a portale verso l’infinito è uno dei capolavori di Lucio Fontana, legato al concetto dei “buchi” e dei “tagli”, il Soffitto Spaziale sorregge la grande stanza dedicata allo stesso artista e al contempo apre un varco verso l’immaginazione.

L’impatto visivo del visitatore è di grande forza, il soffitto accompagna lo sguardo fino alla vetrata che da sul Duomo, avvicinandoci alla parete di vetro ci accorgiamo che il “tetto” spaziale lascia il posto ad una struttura luminosa, anch’essa realizzata da Fontana, un arabesco di luce che non è da meno a tutto il resto.

Come detto è l’anteprima alla stanza situata più in alto dedicata completamente al pittore nativo di Buenos Aires, sono infatti esposte alcune opere realizzate negli anni che vanno dal 1951 al 1962, quadri e sculture che hanno come comune denominatore l’attesa di una spazialità concettuale.

Il “Soffitto” è stato realizzato inizialmente per la sala da pranzo di un hotel sull’Isola d’Elba nel 1956, viene ricollocato nel museo milanese nel 2010.