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giovedì 21 novembre 2024

L'impervia e meravigliosa montagna dell'arte

Normalmente mi cimento in considerazioni, recensioni o, più precisamente, interpretazioni personali di questa o quell'opera, visioni da un particolare punto di vista.

Stavolta ho deciso di scendere più in profondità in quello che è il mio "percorso" emozionale all'interno dell'arte, voglio raccontare una particolare esperienza che ho vissuto qualche anno fa e che, ogni volta che lo ricordo, lo rivivo come se fosse adesso (anche se, purtroppo, con minore intensità). 

Qualche anno fa appunto, in visita a Venezia, ho deciso di prendere una strada diversa da quella percorsa dagli altri membri di questa mia “spedizione”, nel momento di organizzare la gita nel capoluogo veneto ho messo in chiaro al resto della compagnia che l’obbiettivo primario era la collezione Peggy Guggenheim a Palazzo Venier dei Leoni.

Vassilij Kandinskij - Paesaggio con macchie rosse 2, 1913 - cm. 117 x 140 - Collezione Peggy Guggenheim, Venezia


Arrivati al mattino presto ci siamo addentrati nei meandri della bellissima città lagunare, le viuzze, i canali e naturalmente i ponti e le piazze, tutto è storia, arte e bellezza, ad un certo punto ho chiesto se qualcuno voleva seguirmi alla scoperta dei capolavori dell’arte moderna e contemporanea, nessuno ha accolto il mio invito e di conseguenza ci sono andato da solo.

Erano molti i dipinti e le sculture che mi ero prefissato di osservare, in primis L’impero delle luci di Magritte, ma non era certo l’unica opera che suscitava la mia curiosità.

Nell’istante in cui sono entrato alla Peggy Guggenheim Collection, sono stato accolto dalla bellezza e dal fascino di dipinti di artisti come Magritte, Picasso, Braque, Picabia e Pollock, Max Ernst (solo per citarne alcuni).

Nella prima sala sulla destra era esposto il dipinto di Magritte che tanto desideravo ammirare, mi sono goduto ogni singolo secondo davanti a questo e ad altri quadri, ognuno raccontava la storia del novecento, ognuno con una propria personalità.

Scorrendo le varie sale e le varie opere, ricordo quei momenti come se li vivessi ora, passo davanti ad un quadro di Picasso e mi soffermo infine su uno di Picabia, cambio sala ed ecco che alcune opere di Pollock mi accolgono, dopodiché lascio la stanza ed entro in un’altra, ad accogliermi un’opera di Gino Severini che mi colpisce positivamente con i suoi colori.

Mi giro e, proprio di fronte al dipinto di Severini, mi trovo di fronte a Paesaggio con macchie rosse 2 di Vassilij Kandinskij, ed è proprio in quell’istante che inizia ciò che non avevo mai provato e che non ho mai più “rivissuto”.

La tela, che misura circa 120 x 140 cm., mi ha immediatamente ipnotizzato, la dimensione, tutt’altro che ridotta, ha iniziato a diventare sempre più grande tanto che avevo l’impressione di esserne avvolto, ero praticamente entrato nel dipinto.

Lentamente ma inesorabilmente i suoni, i rumori, i brusii degli altri visitatori sono scemati fino a scomparire del tutto, ero nel quadro e c’era un silenzio assoluto, la sensazione che provavo era di una calma e serenità mai provate, tutto era perfetto, le forme e i colori erano immobili ma al contempo tutto si muoveva come a seguire una disposizione precisa, senza però che trapelasse una costruzione artificiosa.

Dopo un tempo indefinito i rumori della sala hanno iniziato a comparire, dapprima lontani fino a tornare alla normalità, nello stesso tempo il dipinto ha ripreso la propria dimensione, sono uscito dallo stesso e mi sono ritrovato davanti alla tela.

Ho compreso immediatamente che qualcosa era andato diversamente dal solito, la prima cosa che ho fatto è guardare l’orologio, secondo alcuni calcoli ero rimasto immobile davanti alla tela per più di venti minuti, immediatamente mi sono guardato attorno per capire se avessi tenuto un comportamento bizzarro, dalla reazione dei visitatori (fortunatamente pochi in quel giorno d’agosto) ho capito che non ero andato oltre l’immobilità “osservativa”.

Finita la visita alla galleria (durata quasi due ore e mezza) mi sono riunito con i miei compagni di viaggio che nel frattempo avevano visitato i consueti luoghi veneziani, appena incontrati tutti mi hanno chiesto cosa fosse successo “dallo sguardo e dall’espressione del viso sembra che tu abbia assistito ad un’apparizione”, disse uno di loro.

Quel senso di pace, felicità, serenità, mi ha accompagnato per molto tempo e ancora oggi ritorna parzialmente quando ricordo l’accaduto. Ho parlato di tutto questo con alcune persone legate al mondo dell’arte e tutte mi hanno detto che ho avuto la fortuna di provare l’emozione più forte che si possa sperimentare davanti ad un’opera d’arte: l’estasi.

Non so se si tratti effettivamente di estasi (da escludere la “sindrome di Stendhal” in quanto non ho provato alcun disagio) ma questa esperienza, che molti artisti e appassionati si augurano di provare almeno una volta nella vita, è qualcosa di incredibile.

Quando sottolineo che l’arte, qualsiasi arte, se compresa nella sua essenza, può raggiungere vette elevatissime mi riferisco proprio a questo.

sabato 9 novembre 2024

I grandi emergono anche da dietro le quinte

Ci sono grandi artisti che sanno di essere tali e non hanno bisogno di sottolinearlo.



Spesso cantanti, attori, scrittori, pittori ecc., non perdono l’occasione di sottolineare, a parole o con determinati comportamenti, quanto siano bravi, belli, eccezionali, fino a volerci convincere che sono una sorta di divinità.

In questo caso mi riferisco ai musicisti nel corso di un evento live, ad un concerto di Tizio, Caio o Sempronio, capita che venga annunciato un ospite particolare, in quasi la totalità dei casi l’ospite viene accolto con grande (anche se non sempre) enfasi, ma durante l’esibizione non deve mai mettersi “davanti” alla divinità titolare della manifestazione, la può affiancare, se l’ospite è di fama internazionale, altrimenti deve stare mezzo passo indietro.

L’eccezione, perché deve sempre esserci l’eccezione se vogliamo confermare tutto ciò, è Eric Clapton. Più volte ho notato, guardando moltissimi video che lo ritraggono dal vivo, il grande musicista britannico fare un passo indietro rispetto a chi lo ospita ad un concerto ma soprattutto agli ospiti che lui stesso invita alle sue esibizioni.

Nel video che vi propongo Clapton, siamo nel 1999, invita sul palco Tracy Chapman dove, in un delizioso duetto, propongono Give one reason, brano della stessa cantautrice americana.

La Chapman è già famosissima, da anni è entrata nel club delle stelle mondiali della musica ma Eric Clapton è qualcosa di estremamente più grande, se non altro per la carriera più lunga.

Nonostante tutto questo Eric sta sempre un passo dietro Tracy, la affianca solo quando anche lui deve cantare tornado però nelle retrovie subito dopo, lasciando la scena all’ospite.

Questo mio scritto può sembrare di poco conto (e probabilmente lo è) ma volevo sottolineare che la grandezza di un artista emerge indipendentemente dal fatto che ce lo faccia sempre presente, infatti in questo video Clapton non ha bisogno di offuscare la Chapman per mettersi in luce, la sua esibizione con la chitarra è immensa, il suo compito è quello di fare da cornice alla cantante nel modo migliore, un compito che solo i grandi sanno portare a termine senza necessariamente essere, fisicamente, al centro della scena.