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lunedì 30 settembre 2024

Premonizione o/e provocazione

 

Paul Cézanne - Una moderna Olympia, 1873-74 - Olio su tela cm 46 x 55 - Musée d’Orsay, Parigi


Realizzato una decina di anni dopo la celebre Olympia di Manet ha come obbiettivo la rivisitazione, velatamente polemica, dell’opera “originale”, Cezanne diede vita al dipinto, secondo Paul-Louis Gachet, dopo una discussione che il pittore ebbe con l’amico Paul Gachet, padre di Paul-Luis.

Davanti alla venerazione provata da Gachet di fronte all’opera di Manet, Cézanne polemicamente ribadì di essere in grado di rifarla in modo più irriverente.

Rispetto al dipinto di Manet quello di Cezanne appare più etereo, Olympia sembra fluttuare su una nuvola, impressione accentuata dalla posizione del letto della giovane donna, decisamente più in alto rispetto al cliente seduto in attesa.

La domestica scopre il velo che celava la ragazza enfatizzando l’apparizione quasi celestiale, l’uomo, evidentemente un autoritratto, è seduto sul sofà in dignitosa ma trepidante attesa, investito dalla manifestazione quasi incorporea.

Un incontro-scontro tra la materia e lo spirito, un soggetto che non poteva essere esente da discussioni.

Al contrario della protagonista del quadro di Manet L’Olympia di Cézanne sembra più insicura quasi timorosa, forse più “umana”, particolare che, più di altri, rende la scena decisamente realistica, in contraddizione con l’effetto evanescente.

Nel 1874 il pittore provenzale decide di esporre il quadro alla prima mostra impressionista nello studio del fotografo Nadar, il risultato è quello che si aspettava.

Il celebre critico Leroy, che divenne famoso, suo malgrado, per la recensione di “Impressione solei levant” di Monet (ne ho perlato qui) ci tiene a farsi riconoscere e stronca, deridendo e non argomentando, l’opera: “… una donna piegata in due cui una negra toglie l’ultimo volo per offrirla in tutta la sua bruttezza agli occhi incantati un fantoccio di un fantoccio […] Vi ricordate dell’Olympia di Manet? Ebbene era un capolavoro di disegno a paragone di quella di Cézanne”.

Le stroncature di Leroy sono la conferma che si è sulla strada giusta, quest’opera di Cézanne ne traccia una fondamentale, spesso si dice che il tempo confermerà o smentirà ciò che viene fatto, in questo caso il verdetto è inequivocabile (nonostante o per merito, di certi critici).

domenica 22 settembre 2024

E se ...

Cercando qualcosa da vedere sulla piattaforma streaming di Amazon, scorrendo tra le pellicole catalogate nella categoria “Shi-fi”, mi sono imbattuto, casualmente, in un film del 2007 il cui titolo “L’uomo venuto dalla terra” non invogliava certo alla visione.


Sarà il destino, sarà il caso, fatto sta che ho iniziato a guardarlo e posso dire di dover ringraziare suddetta scelta.

Di fantascientifico ha poco, niente alieni, niente astronavi, nessun viaggio spaziale, assenza totale di effetti speciali.

Con un budget di soli 200 000 dollari il regista newyorkese Richard Schenkman da vita ad un viaggio nel tempo, nella storia, nella filosofia.

Praticamente tutto il film è girato in una stanza, solo alcune scene iniziali e finali sono all’esterno, otto i personaggi che dividono lo spazio, null’altro.

Il film inizia con il protagonista, John Oldman, che si appresta a caricare degli scatoloni su un pik-up, pronto evidentemente a lasciare l’abitazione alle sue spalle, in quel frangente arrivano alcuni amici, docenti accademici come John, che giungono per un ultimo saluto, un biologo, una teologa, Sandy una dottoressa innamorata del protagonista e un antropologo.

Mentre gli amici, che hanno portato cibo e bevande per celebrare la partenza, stanno aiutando John a caricare i bagagli a Edith non sfugge un quadro che ricorda lo stile di Van Gogh ma il cui soggetto è sconosciuto, dietro il dipinto una dedica: “Al mio amico Jaques Borne”. Il dottor Oldman sostiene di averlo acquistato da un rigattiere.

Il gruppo entra in casa per consumare le vettovaglie e brindare alla partenza del collega, poco dopo vengono raggiunti da Art, un archeologo accompagnato da una giovane studentessa.

Tra una battuta ed un’altra gli amici di John insistono per sapere il motivo di questa sua partenza improvvisa, inizialmente nega che ci siano problema particolari che lo portano ad andarsene in fretta ma dopo una pressante insistenza John svela il motivo che lo induce ad andarsene e lo fa con una domanda: “e se supponessimo che un uomo del paleolitico fosse sopravvissuto fino ai giorni nostri?”.

Pensando che l’amico si stia divertendo, magari impostando una futura scrittura di un romanzo di fantascienza, il gruppo inizia ad avanzare alcune tesi, più o meno plausibili, quando però John sostiene che quell’uomo è lui …

Come dicevo niente effetti speciali, solo un dialogo serrato tra i membri della compagnia, discussioni accese, qualche litigio al punto che Art, in un momento di distrazione di John, chiama al telefono un altro insegnate loro amico, uno psicologo che a breve, si unirà alla compagnia.

Ottanta minuti dove le più svariate teorie, confutate o avvalorate dall’uomo millenario, scorrono davanti allo spettatore che viene catturato dall’impostazione filosofica del viaggio, dove il tempo diviene relativo e la concezione della storia e del presente perdono alcune delle certezze che sembravano assodate.

La pellicola certamente è tutt’altro che perfetta, se la sceneggiatura è superba non si può dire lo stesso della fotografia e anche la scenografia non è eccelsa.

La recitazione è buona, in caso contrario il film sarebbe stato inguardabile, con punte più elevate di altre, probabilmente il doppiaggio italiano ha abbassato leggermente il livello anche se è comunque accettabile.

Il concetto alla base del film è il vero punto di forza, certo era difficile portare questa storia sullo schermo senza rischiare la noia, pericolo scongiurato proprio grazie agli attori.

La storia nasce dalla mente di Jerome Bixiby, che pensò a questo racconto fin dagli anni sessanta e che dettò al figlio nel 1998 poco prima di morire, Bixiby è anche l’autore della serie “Ai confini della realtà”, scrisse quattro episodi della serie originale “Star Treek” (citata nel finale del film) e a quattro mani l’opera che diede vita al film cult del 1966 “Fantastic voyage” (conosciuto da noi con il nome di “Viaggio allucinante”).

Questa è la copertina del film nel formato DVD (non è mai stato proiettato in sala) non rispecchia minimante ciò che la pellicola vuole raccontare, ma forse la legge del marketing impone queste scelte …



domenica 15 settembre 2024

La forza dello spirito

Caspar David Fiedrich – Monaco in riva al mare, 1808-10 - Olio su tela cm 110 x 171,5 - Alte Nationlgalerie, Berlino


Se Viandante sul mare di nebbia è l’opera simbolo dell’arte di Friedrich, Monaco in riva al mare è sicuramente quella che ha tracciato un percorso fondamentale per l’arte del pittore tedesco e per tutta quella che è venuta in seguito.

Il dipinto è la svolta pittorica, una pietra miliare della concezione moderna di arte.

Nessuno aveva mai osato mettere in scena l’essere insignificante dell’umanità di fronte all’infinito, l’uomo era da sempre rappresentato al centro del mondo, con quest’opera gli viene assegnata una parte marginale, alla pari di moltissimi altri “personaggi” che altro non sono che delle comparse.

Il dipinto è occupato per cinque sesti dal cielo cupo, plumbeo, il resto è composto da una striscia di mare nera e minacciosa ed un lembo di terra, più chiaro, dove è adagiata la minuscola figura del monaco, l’uomo appare insignificante di fronte al mare, il cielo addirittura lo sovrasta quasi annullandolo.

La forza sprigionata da questo dipinto è immensa, cosi come è grande il senso di smarrimento provato da chi si pone dinnanzi al quadro.

La grandezza della natura, del mondo al di fuori dell’uomo, per come percepisce sé stesso, i limiti, ogni parvenza di confine, sono annullati, questo ha portato alcuni storici a definire il quadro “una delle basi da cui parte l’astrattismo”.

Le fasce orizzontali, che costituiscono la struttura dell’opera, ci possono condurre ad un confronto con Mark Rothko, questo accostamento ci aiuta a comprendere l’intensità spirituale del pittore americano, spiritualità che trova la sua forza proprio nel raffronto con quella, ormai palese, delle opere di Friedrich.

 

domenica 8 settembre 2024

[Aforismi e arte] La creazione

Alberto Repetti - Una possibile scelta


"L’atto creativo è l’incontro fisico di due forze, una è la materia che posiamo su un foglio o una tela, l’altra è l’intenzione, l’azione, il gesto che lo strumento compie sul foglio o sulla tela.

Mettere e togliere, sia che lo si faccia con un pennello, con uno straccio o con un pezzo di carta, presuppone un percorso attraverso il quale il fine ultimo è quello di rappresentare.

Da una parte il risultato in termini di lettura del soggetto, dall’altra il racconto del suo sviluppo sulla superficie. Non è tanto il soggetto che l’autore dell’opera guarda e contempla, ma di ciò di cui si è privato e che si svolge come un racconto, quel momento è testimonianza di esserci stato, di presenza infinita sul foglio o sulla tela."

 (A. Repetti)