giovedì 28 maggio 2015

Quando la musica rock incontra le orchestre sinfoniche.


“C’è musica classica talmente bella da diventare popolare e leggera, e c’è musica leggera talmente bella da diventare classica. Quando la musica è bella, è bella e basta”.
 
(Andrea Bocelli)



In molti ritengono che le grandi orchestre sinfoniche debbano eseguire esclusivamente musica classica. La “musica del popolo” come viene definita dai puristi della musica “alta” (definizione degli stessi) è bene che venga suonata da altri, e non importa dove, l’importante è che non sia nei luoghi sacri della musica sinfonica.

Sono convinto che se un brano è bello, o per meglio dire, ci piace, e viene eseguito nel modo giusto, il risultato non può che essere meraviglioso.
Voglio proporvi un accostamento che ha confermato la mia teoria, alcune tra le grandi canzoni pop, rock o “leggere” del passato, più o meno lontano, eseguite dall’orchestra nazionale britannica la “Royal Philarmonic Orchestra”.

Il risultato, a mio avviso, è ottimo, naturalmente alcuni brani risultano meglio eseguiti di altri, ma ciò che conta è che con arrangiamenti diversi, strumenti diversi dalle versioni originali si possono ottenere opere di qualità.
Dalla “classica” e mirabile “Lt it be” dei Beatles , all’indimenticabile “Stairway to heaven” dei Led Zeppelin, gradevole la versione dello straordinario e musicalmente alternativo Mike Oldfield con la sua “Moonligth shadow”.


Ci appare suadente e romantica la versione di "Here With Me" di Dido, ben riuscita la trasposizione di "Knockin on heaven's door" naturalmente di Bob Dylan, grande intensità d'esecuzione per "Shine on you crazy diamond" firmata Pink Floyd, addirittura dirompente ed esplosiva "Bohemians Rahpsody" dei Quinn. 
 
 
Qualche anno fa un’altra grande orchestra, la Berlin Philarmonic, decise di collaborare con il gruppo metal degli Scorpions, in questo caso non si trattava di eseguire brani adattati e trascritti per orchestra ma di accompagnare musicalmente la band di Norimberga. 

Il direttore di allora, Claudio Abbado, si rifiutò, argomentando il suo diniego, “non posso permettere che i miei musicisti eseguano brani nel cui testo sono inserite frasi volgari e di cattivo gusto” (voci all'interno dell'orchestra raccontano il fastidio del grande maestro italiano nel confrontarsi con tale musica ritenuta dallo stesso di più basso livello).
 
Nonostante tutto il progetto andò avanti anche senza Abbado, ne uscì un album di buonissimo livello anche se le vendite non hanno raggiunto  ciò che il disco meritava.

Vi propongo, a seguire, alcuni brani dell'orchestra britannica.

Tengo a precisare che tutto quello che ho scritto è frutto esclusivo di un pensiero personale, chiunque può dissentire, posso essere io a sbagliare ma ritengo che i gusti personali vadano oltre i canoni prestabiliti e che nessuno può dire che un genere musicale sia superiore ad un altro.


 
 
 
 

domenica 24 maggio 2015

Il sentiero delle lacrime, Robert Lindneux.


Autore:                          Robert Lindneux

Titolo dell’opera:         Trailo f tears – 1942

Ubicazione attuale:     Woolaroc Museum, Bartlesville


“Siamo stati costretti a bere l’amaro calice dell’umiliazione … la nostra patria e le tombe dei nostri padri ci sono state strappate … contempliamo un futuro in cui i nostri discendenti saranno forse estinti”.
(John Ross, capo del popolo Cherokee)





 

Il dramma del popolo Cherokee e di tutti i nativi americani è riassunto in questo dipinto, Lindneux  “racconta” la terribile marcia conosciuta come “Il sentiero delle lacrime”, la deportazione delle popolazioni locali ad opera dei coloni europei.
Dal 1831 al 1838 decine di migliaia di indigeni (oltre ai Cherokee anche Chickasaw, Choctaw, Creek e Seminole) furono trasferiti in riserve-ghetto assegnate loro dai bianchi. Centinaia di miglia esposti a ad ogni tipo di pericolo, dalle intemperie alla malattia, scarsità di viveri e attacchi di banditi.
La tragedia si consumava ad ogni passo, i soldati spingevano la carovana ad avanzare senza curarsi di chi rimaneva indietro, morti inclusi lasciati senza sepoltura. All’arrivo invece della fertile e accogliente terra promessa dal governo americano, trovarono territori inospitali dove era quasi impossibile sopravvivere.
Lindneux dipinge la scena con drammaticità, i colori vivaci dei vestiti dei deportati si contrappongono al cielo cupo, foriero di sventura, l’incedere sofferente ma dignitoso delle donne e dei bambini evidenzia da una parte la grande forza morale di questi popoli e dall’altra il cinismo e la vergognosa brama di potere dei colonizzatori bianchi.
Osservando questo quadro si ha la sensazione che, pur tra grandi sofferenze, i nativi coltivassero la speranza che le promesse potessero essere mantenute, il sorriso di qualche bambino denota un barlume di speranza per il futuro, cosa che purtroppo non si è avverata, rimane la triste constatazione del delirio dell’uomo, della follia dell’umanità che divora se stessa.

 

mercoledì 20 maggio 2015

La passeggiata delle "dame", Pierre Auguste Renoir.


Autore:                       Pierre August Renoir

Titolo dell’opera:       Sentiero nell'erba alta – 1874

Tecnica:                     Olio su tela.

Dimensioni:               60 cm x 74 cm.

Ubicazione attuale:   Musèe d'Orsay, Parigi






Renoir dipinge questo quadro evidentemente influenzato da “I papaveri” di Monet, da quella tela riprende le due coppie femminili, una in primo piano e l’altra in cima alla collina.

Il paesaggio risulta però più selvaggio, anche se la staccionata in basso a destra segnala una presenza “urbana”.

L’abito delle signore esclude che si tratti di contadine al lavoro o di ritorno a casa, anzi, questi eleganti abiti da passeggio, impreziositi da un tocco di civetteria dato dai graziosi ombrellini, richiamano alla mente delle gentildonne borghesi ritratte durante una passeggiata fuori porta.

Il sentiero si snoda fra l’erba alta, il dolce pendio della collinetta è cosparso di piccoli alberelli, solo in lontananza gli alberi si fanno più grandi ma per lo più si notano arbusti e cespugli.

A dare un tocco di vivacità, poche ma mirate “macchie” arancioni, dello stesso colore dell’ombrello della donna in primo piano, il piccolo cerchio del colore del sole al tramonto sembra incorniciare il viso della dama evidenziando il cappellino bianco.

Una curiosità; in basso a sinistra nascosto nella folta vegetazione, si nota, ben mimetizzato con l’ambiente circostante, un grazioso, anche se non facilmente identificabile, animaletto.

sabato 16 maggio 2015

La fotografia delle favole, Annie Leibovitz.


Annie Leibovitz nota fotografa statunitense, deve la sua fama allo stile e al metodo di lavoro che consiste di creare una collaborazione e una fusione di pensiero tra il fotografo e i suoi modelli.


“Reporter” di spicco per 13 anni alla rivista Rolling Stone, nel 1983 diventa la ritrattista di punta per Vanity Fair.

Ha inoltre pubblicato cinque libri fotografici e ha raccolto numerosi premi tra cui l’Infinity Awards nel 1990.

Ha fatto parlare di se con molti scatti al di fuori dei normali canoni del momento, su tutti la famosa la copertina di Vanity Fair che ritrae Demi Moore incinta e senza veli, l’immagine, discussa e contestata, imprime una svolta decisiva alla carriera della Moore.

Leibovitz si è anche dedicata ad alcuni ritratti commissionati da Vogue, e in collaborazione con Disney, ambientati nel mondo delle favole, e sono proprio queste fotografie che voglio mostrare.

Tra i modelli troviamo attori famosi ma anche personaggi lontani dal mondo del cinema come Roger Federer.























 

martedì 12 maggio 2015

Miriana, John Everett Millais


Autore:                          John Everett Millais

Titolo dell’opera:          Miriana – 1851

Tecnica:                        Olio su tela

Dimensione:                 59,5 x 49,5 cm

Ubicazione attuale:     Collezione privata





L’incredibile ricchezza di particolari e di colori ricorda le copertine elaborate e ricoperte di gemme dei manoscritti di età medievale.

Lo stile vittoriano si nota in tutta l’opera, le vetrate, la tappezzeria di pregio e le pregevoli decorazioni che si ispirano al disegno gotico.

Oltre all’elegante figura di Mariana avvolta in un castigato e allo stesso tempo sensuale abito di velluto, si evidenzia la cura dei particolari, il giardino autunnale all’esterno e la delicata opera di ricamo sul tavolo.

I colori caldi, la luce del sole che illumina la scena in diagonale, si contrappongono ad una sensazione di “freschezza” artistica e ambientale resa mirabilmente dalla studiata e tutt’altro che casuale distribuzione di alcune foglie depositate sul pavimento e sul tavolo da lavoro della donna.

"Mariana" è tratto da una poesia di Tennyson, che a sua volta si è ispirato a un personaggio shakespeariano.

Così come per la più nota “Signora di Shalott” Tennyson rivela il sogno e allo stesso tempo la vita reale sospese tra il quotidiano e la fantasia.

Millais con il suo dipinto insiste sulla malinconia della protagonista, al contrario di Waterhouse che, con la “Signora di Shalott" mete in evidenza il dramma della rassegnazione, della speranza ormai svanita.

venerdì 8 maggio 2015

Crescita e dissolvenza, Tomohiro Inaba.


Come se l’essenza del tempo materiale si dissolvesse fino a trasformarsi in puro spirito, Tomohiro Inaba, geniale scultore giapponese, “disegna” figure che sembrano approssimarsi ad un passaggio etereo.

Le sue opere appaiono nel contempo, fragili e forti, la forza del soggetto sta nell’anatomia perfetta della base per poi evolvere fino alla totale dissolvenza mostrando la fragilità dell’insieme destinato a scomparire.

Un groviglio incredibilmente complicato di filo d’acciaio prende forma quasi per magia e nello stesso modo scompare verso l’alto quasi a sembrare un violento e determinato insieme di scarabocchi tracciati con una matita.











lunedì 4 maggio 2015

L'"autobiografia" della pittrice del dolore, Frida Kahlo.


Autore:   Frida Kahlo.

Titolo dell’opera:   Ciò che l’acqua mi diede – 1938.

Tecnica:   Olio su tela.

Dimensioni:   96,5 cm x 76 cm.

Ubicazione attuale:   Collezione privata.




Famosa per i suoi innumerevoli autoritratti Frida Kahlo si dedica a questo intenso lavoro, che potremmo definire la sua autobiografia.
Le fantasie e le allucinazioni della pittrice messicana “vivono” con grande emozione, senza freni sulla tela.
La ricostruzione della propria vita emerge in una sorta di racconto “fantasioso” eppure realistico, immagini di morte, sensualità e grande sofferenza si presentano galleggiando sull’acqua.
Kahlo dipinge la scena inquadrando le gambe dal punto di vista di chi sta immerso nella vasca, si nota immediatamente il piede deforme, a mostrarci quanto in profondità nell’animo abbia inciso il grave incidente stradale le cui numerose ferite infransero, quando aveva 15anni, le sue speranze di diventare medico.
Il quadro è sicuramente la sua opera più surrealista, e decisamente la più complessa, costellata da piccoli e, a volte irrazionali, dettagli.
Si notano gli effetti delle traversie interiori che hanno accompagnato la tormentata vita dell’artista, i complessi anni in cui fu l’amante di Lev Trotskij e il turbolento matrimonio con il pittore Diego Rivera.
Non meno rilevanti le difficoltà e le grandi sofferenze fisiche (evidenti nel dipinto in una sorta di paesaggio post-apocalittico dove tutto appare morente) iniziate negli anni quaranta quando Frida comincia a soffrire di problemi spinali e, costretta lungamente a letto, continua a dipingere, spesso tra atroci sofferenze, fino alla morte avvenuta nel 1954 a quarantasette anni.