domenica 30 novembre 2014

La mitologia "noir", Goya.


Autore: Francisco Goya y Lucientes

Titolo dell’opera: Crono che divora i suoi figli – 1819- 1823

Tecnica: Olio su intonaco

Dimensioni: 146 cm x 83cm

Ubicazione attuale:  Museo del Prado, Madrid






Una delle immagini più spaventose dell’intera storia dell’arte. Il dio Kronos, divora i propri figli.
Rappresenta un tema mitologico: il dio Crono (greco, o Saturno presso i Romani), essendogli stato profetizzato che uno dei suoi figli lo avrebbe soppiantato, era solito divorarli al momento stesso della loro nascita.

Goya trasforma il riferimento letterario in un incubo visionario, un mostro spaventoso e gigantesco che si avventa sulla misera spoglia umana, dilaniata e sanguinante.

L’opera fa parte della serie “Pitture nere”, tredici dipinti realizzati da Goya sulle pareti della propria casa, “Quinta del Sordo”, nei pressi di Madrid.
Varie le interpretazioni dell’opera: l’eterno conflitto tra gioventù e vecchiaia, il tempo che divora ogni cosa, la Spagna che dilania i propri figli tra guerre e rivoluzioni, o più in generale il degrado della condizione umana nei tempi moderni.

Il dipinto, decorava la sala da pranzo dell’abitazione. Il titolo, come nel caso di tutte le tredici opere della serie, fu dato da altri dopo la morte del pittore spagnolo. 
 
Tra i pochi elementi del dipinto spicca un sapiente uso degli effetti della luce, che risalta il contrasto tra i colori scuri della figura del dio e il rosso acceso del sangue del figlio.

Nel 1874, la casa è in possesso del Barone di Erlander che, a causa del deterioramento delle pitture, fa trasferire le opere su tela e nel 1878 li dona allo stato spagnolo.
 
 

mercoledì 26 novembre 2014

L’elefante e la farfalla, Michele Zarrillo.


Brano struggente ed intenso, Michele Zarrillo nel 1996 presenta al festival della canzone italiana di San Remo una delle sue più intense interpretazioni.

“L’elefante e la farfalla” racconta la sofferenza e l’emarginazione, il sentirsi inadeguati nell’epoca dove sopra ogni cosa conta l'apparire.

Con eleganza e discrezione il cantante romano mostra i limiti della società moderna, la dove l’amore diventa impossibile per una differenza esteriore al punto che l’elefante, pur mostrando sinceramente il proprio amore, non osa esternarlo perché sa già che non ne sarà ricambiato.

Triste metafora sulla condizione attuale dove l’apparenza diventa sempre più importante, a discapito dell’”essere”.

La melodia fa perfettamente da cornice a questa, se pur triste, meravigliosa canzone.

 
 

sabato 22 novembre 2014

Poesia sulla spiaggia, Peter Severin Krøyer


Autore: Peter Severin Krøyer

Titolo dell’opera: Serata d’estate sulla spiaggia meridionale

Tecnica: Olio su tela

Dimensioni: 100 cm x 150cm

Ubicazione attuale:  Museo di Skagen
 
 
 


Due eleganti signore passeggiano lungo una spiaggia deserta.
I toni blu del mare e del cielo che si fondono insieme all’orizzonte, e la sabbia grigia creano una luminosa atmosfera di pace e tranquillità.
 
I pittori scandinavi da sempre studiano e ricreano sulla tela gli effetti della luce nordica, scegliendo spesso semplici soggetti raffigurati con freschi toni pastello sotto il sole artico, evitando i colori forti e ombre profonde.
Nato a Stavanger, Norvegia, Krøyer è particolarmente affascinato dai cambiamenti di luce nelle diverse ore del giorno e dalla combinazione di luce naturale e artificiale.

Influenzato agli inizi dalla pittura dello spagnolo Velasquez, dipinge scene realistiche di lavoratori italiani e spagnoli, note per il loro pathos.
Più tardi diventa il maggior esponente della colonia di Skagen in Danimarca e i suoi quadri si fanno più animati.

Purtroppo gli ultimi anni di vita sono turbati da disturbi mentali che impediscono all’artista di continuare la sua “storia” artistica.


martedì 18 novembre 2014

Il Viaggio dell'arte, Carla Colombo.


Autore:  Carla Colombo

Titolo dell’opera:  La strada è ancora lunga – 2011

Tecnica:  Olio a spatola su tela

Dimensioni:  70 cm x 30 cm

Ubicazione attuale:  Collezione privata




Forse non è questa l'opera che, per prima, viene in mente quando si parla di Carla Colombo, ma è questo il dipinto che più di altri "racconta" il percorso artistico della pittrice.
Autrice di poetici acquarelli e paesaggi di estrema delicatezza che raccontano la sua terra e l’Adda l’amato fiume che lambisce il luogo dove è nata e vive attualmente.

Colombo spazia fra le varie tecniche pittoriche senza mai fermarsi. I paesaggi, i cui colori coprono il passare delle stagioni, lo scorrere delle ore del giorno, catturando il gioco di luci che le condizioni atmosferiche e il riflesso dal fiume proiettano continuamente e in modo sempre diverso.

Ma queste non sono che uno dei passaggi artistici di Carla, le opere “materiche”, informali, astratte, lasciano l’osservatore in uno stadio di sospensione, etereo, fluttuante, confondendosi con le forme espresse dalle tele, opere che trovano compimento nella serie “Costanti presenze aleggiano nel cosmo dell’invisibile”.

Questo dipinto racchiude il passaggio, in entrambe le direzioni del talento artistico ed emozionale di Carla Colombo, sia la tecnica, dove i “tratti” appaiono a volte delicati e nel contempo decisi e perentori, sia  metaforicamente (parere strettamente personale) la strada, tracciata con decisione, ma impervia e tutt’altro che di facile percorso, racconta il continuo viaggio nella pittura, quasi un portale che conduce ad esperienze artistiche sempre nuove, la possibilità di sondare nuove dimensioni, per poi tornare alle origini.

Nel totale silenzio che solo la neve riesce a creare, l’occhio dell’osservatore si perde con la via nella foschia che unisce la strada ai boschi innevati fino a raggiungere le cime delle montagne senza sapere cosa ci si aspetta ma consapevoli che il ritorno ci porterà nuove conoscenze.

 

venerdì 14 novembre 2014

Il simbolo dell'arte pittorica americana, American Gotic, Grant Wood.


Autore: Grant Wood
 
Titolo dell’opera:  American Gotic – ca. 1930

Tecnica: Olio su tavola

Dimensioni: 74,5 cm x 62,5 cm

Ubicazione attuale: Art Institute of Chicago, Chicago.





Un semplice cottage in stile gotico visto in una cittadina dell’Iowa meridionale, ha affascinato Wood al punto di portarlo a creare il quadro basandosi sull’immagine che la casa evoca in lui.
Dipinge l'abitazione posizionando davanti alla stessa quelli che nel suo immaginario possono essere gli abitanti ideali.

Utilizza la sorella e il suo dentista come modelli per la coppia davanti alla casa bianca. Wood è criticato per aver trattato con ironia i valori del Midwest americano, il pittore a sempre affermato di avere, al contrario, voluto fare un omaggio alla dignità puritana, semplice e concreta, trovata nelle piccole città americane.
L’uomo con il forcone in mano è interpretato come il simbolo del lavoro manuale, interpretazione mai negata dall’autore. Attrezzo richiamato nel dipinto dal vestito del vecchio contadino, nelle finestre dell’abitazione e nel volto stesso dell’uomo.

L’opera inizialmente derisa da pubblico e critica diventa il simbolo dell’arte americana nel mondo.



lunedì 10 novembre 2014

Se ti incontrassi in paradiso, Eric Clapton, Tears in heaven.




Eric Clapton pubblica nel 1992 questa intensa ballata dedicata alla tragica scomparsa del figlio Conor avuto da Lory del Santo e morto a soli 4 anni nel 1991 cadendo dal 53º piano di un palazzo dove si trovava con la madre. Clapton non è mai più entrato in quella stanza dell’appartamento.

Eric non esegue più questa canzone da molti anni, da quando dice di aver finalmente superato il dolore per la perdita del figlio.



Il brano nel 1993 gli vale tre Grammy Awards, ed è stata dedicata alle vittime dello tsunami del 2004, cantata da Phil Collins, Elton John, Mary J. Blige, Ozzy Osbourne e la figlia Kelly, Steven Tyler, Andrea Bocelli, Ringo Star, Robbie Williams, Gwen Stefani, Scott Weiland, Josh Groban, Katie Melua e Slash alla chitarra.
 

 

 

Tears in heaven (traduzione)

 Ricorderesti il mio nome se ti vedessi in paradiso?
Sarebbe lo stesso se ti vedessi in Paradiso?
Devo essere forte ed andare avanti

Perché lo so, io non appartengo qui, al Paradiso
 
 Mi terresti la mano se ti vedessi in Paradiso?
Mi aiuteresti a stare in piedi se ti vedessi in Paradiso?
Troverò la mia via attraverso la notte e il giorno
Perché lo so, io non posso restare qui, in Paradiso
 Il tempo può buttarti giù; il tempo può piegarti le ginocchia
Il tempo può spezzarti il cuore, farti implorare pietà, implorare pietà
 Oltre la porta c'è pace ne sono sicuro
E lo so non ci saranno più lacrime in Paradiso
Ricorderesti il mio nome se ti vedessi in Paradiso?
Sarebbe lo stesso se ti vedessi in Paradiso?
Devo essere forte ed andare avanti
 
Perché lo so, io non appartengo qui, al Paradiso
Perché lo so, io non appartengo qui, al Paradiso
 
 

giovedì 6 novembre 2014

Il mondo di Cristina, Andrew Wyeth.


Autore: Andrew Wyeth

Titolo dell’opera: Il mondo di Christina – ca. 1948

Tecnica: Tempera e gesso su tavola

Dimensioni: 82 cm x 121 cm

Ubicazione attuale: Museum of Modern Art, New York






La ragazza ripresa di schiena e seduta su un prato, alza lo sguardo verso una fattoria sulla collina, la posizione della giovane lascia trasparire un senso disagio come se la costruzione fosse in qualche modo irraggiungibile.
La malinconia e la solitudine traspaiono nella scena sottolineate dallo spazio tra la figura femminile e la casa lontana.

Il quadro è dipinto con precisione in toni sommessi, ma con una calda luce solare, tipica dello stile di Wyeth, caratterizzato da un realismo minuzioso, ispirato probabilmente alla fotografia nella precisione dei particolari e nella scelta delle angolazioni.
I temi consueti della pittura di Wyeth sono paesaggi deserti, scene che evocano un senso di solitudine, a cui il pittore da una nota inquietante dipingendo quei soggetti patetici con estrema precisione.

L’opera di Wyeth, che lavora principalmente in Pennsylvania e nel Maine, è popolarissima ed esercita un grande fascino sul pubblico.

 

domenica 2 novembre 2014

Creare il momento magico, Gregory Crewdson.

Al contrario di molti fotografi che colgono l’attimo con la loro macchina fotografica, Gregory Crewdson l’attimo lo crea.

Nato a Brooklyn il 26 settembre del 1962, le sue oper sono conosciute in tutto il mondo, più che semplici immagini, le foto di Crewdson sono dei racconti.

Un uso virtuosistico della luce gli permette di creare immagini di grande impatto visivo e grande fascino artistico.

Ogni fotografia richiede una costruzione complessa, per ogni creazione si avvale di un team pari ad una troupe cinematografica: truccatori, scenografi, tecnici della luce e varie comparse.

Non è un caso, quindi, che per alcune delle sue serie l’artista abbia ingaggiato, nel ruolo di interpreti, star del cinema come Gwyneth Paltrow, Julianne Moore e William H. Macy. Allo stesso tempo, è impossibile non paragonare le fotografie di Gregory Crewdson al linguaggio visivo di celebri registi americani, come David Lynch, Alfred Hitchcock e Steven Spielberg.


Gregory Crewdson
Le foto di Crewdson sono tuttavia il risultato di elaborati montaggi digitali, la perfetta mesa a fuoco è ottenuta con ripetuti interventi su piccole parti dell’immagine stessa fino ad ottenere una quasi irreale profondità a tutto il campo figurativo. Ogni singolo dettaglio e resocon precisione maniacale come se si trattasse di un dipinto.

Laddove foto-garfia significa  disegnare con la luce Crewdson si può definire a tutti gli effetti un fotografo nel senso letterale del termine, riesce a descrivere con uno scatto la vita quotidiana della città o della provincia americana evidenziando i valori pratici e spirituali dei personaggi ritratti con le miserie e le paure reali e psicologiche.

Vi propongo alcune delle "creazioni" di Crewdson.


 
 
 
 
 
 




 
 
 













"costruzione" dell'immagine